Cultura

Un volume su Tommaso Sandrini e la pittura bresciana del ‘600

L’autore Filippo Piazza, accademico e funzionario della Soprintendenza di Brescia e Bergamo, presenterà lo scritto il 12 giugno
La volta della navata di Santa Maria del Carmine - © www.giornaledibrescia.it
La volta della navata di Santa Maria del Carmine - © www.giornaledibrescia.it
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Maestri dell’architettura dipinta, precursori dell’arte di creare spazi fittizi – eppure idealmente abitabili – in grado di suscitare quella «meraviglia» che sarebbe divenuta caratteristica della pittura barocca. A riconoscere questo primato alla «scuola bresciana» fu addirittura Vasari, che riconobbe la città lombarda come «fonte de quest’arte».

Il volume

All’arte della quadratura e ad uno dei suoi protagonisti è dedicato il volume di Filippo Piazza «Architetture dipinte nel Seicento. Tommaso Sandrini e la scuola bresciana», nono volume degli Annali di Storia Bresciana (Morcelliana ed., 336 pp., 35 euro) che sarà presentato giovedì 12 giugno alle 17 all’Ateneo di Brescia, in via Tosio 12. L’autore, accademico e funzionario della Soprintendenza di Brescia e Bergamo, dialogherà con la prof. Elena Fumagalli dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

«Nell’indagare lo sviluppo della quadratura bresciana tra i due secoli – si legge nella Presentazione di Sergio Onger, presidente dell’Ateneo – questo saggio pone attenzione al percorso del più autorevole protagonista di tale stagione: Tommaso Sandrini (1579/80- 1630). La sua produzione copre oltre un ventennio di attività e caratterizza l’assetto decorativo di alcune chiese cittadine come Santa Maria del Carmine e i Santi Faustino e Giovita (distrutta è la chiesa di San Domenico), le cui volte ospitano apparati illusionistici impaginati secondo i criteri di una regola prospettica che tiene conto del reale punto di osservazione, conferendo pertanto una spazialità molto ampia. Nelle imprese condotte da Sandrini e dai suoi più stretti allievi e seguaci (...) si percepisce la volontà di realizzare in pittura strutture misurabili e dunque idealmente abitabili, raggiungendo un effetto che, come scrissero i contemporanei, confonde la vista al punto che “gl’occhi restano stupefatti”. La ricerca di verosimiglianza, che assomma realtà e finzione (secondo i dettami propri del teatro barocco e della scenografia), scandisce l’intera opera dei bresciani, attenti ad assecondare, tramite le architetture dipinte, la forma degli edifici senza però mai trasfigurarla, bensì amplificandone la percezione da parte dell’osservatore, il quale, di fronte al virtuosismo generato dall’inganno prospettico, non può che restare – oggi come allora –  meravigliato».

«La scelta di intraprendere questa linea di indagine – spiega l’autore nella Premessa – è maturata dopo aver acquisito la piena consapevolezza del ruolo tutt’altro che secondario ricoperto dalla tradizione bresciana nel XVI e, soprattutto, nel XVII secolo. Un ruolo riconosciuto già a partire da molte fonti antiche, con Vasari in testa, seguito da Ridolfi e Boschini, sino a Lanzi, che nei pittori provenienti da questo territorio riconobbero dei fondamentali precursori, nonché degli interpreti di rilievo, del genere illusionistico. La vicenda bresciana, avviata alla metà del Cinquecento da Cristoforo e Stefano Rosa, proseguì con Tommaso Sandrini, un maestro attivo sino al 1630, e poi grazie alla capillare attività di altri pittori. Non c’è dubbio che l’architettura dipinta rappresenti un fenomeno ancora poco indagato nel caso di Brescia: un fatto che sorprende, se considerato in rapporto all’alta densità di testimonianze artistiche ancora presenti nelle chiese e negli edifici privati di questa regione».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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