Fanfani e La Pira, i primi passi della Dc a Brescia

«Non è possibile apprendere appieno le vicende di Brescia e della sua provincia nella seconda metà del Novecento senza conoscere, almeno nelle sue linee più generali, la storia di quello che è stato il partito politico che, grazie alle decine di migliaia di militanti e alle centinaia di amministratori locali oltre che ad importanti esponenti di rilievo nazionale, ha promosso ed accompagnato lo sviluppo della nostra provincia fin dai difficili anni del secondo dopoguerra», scrivono Michele Busi e Luca Ghisleri, presidente e direttore del Ce.Doc.
Ed è soprattutto con l’intento di fornire una solida base di conoscenza e ricerca che il centro di documentazione sul cattolicesimo bresciano pubblica «La provincia bianca. La nascita e i primi anni della Democrazia Cristiana a Brescia» (470 pagine, 25 euro, per i tipi della Gam di Rudiano). Il volume sarà presentato venerdì a Brescia.
Le origini
Il corposo lavoro di Michele Busi unisce più filoni di ricerca. Lo spunto iniziale risale ai primi anni Novanta, quando l’allora direttore Mario Faini inviò un questionario in diversi paesi, per raccogliere testimonianze di com’era rinata l’attività politica dei cattolici dopo la guerra. Una cinquantina le risposte, che ora ordinate nella seconda parte del volume offrono un affresco vivace di quel tempo, a conferma dell’elaborazione svolta da Michele Busi nella prima parte, che ricostruisce, anno per anno, la svolta storica dal 1945 al ’51.
Utili sono le pagine che precedono, dedicate agli anni della guerra, per dire di alcuni punti essenziali maturati prima ancora che l’Italia fosse liberata. Così si comprende come nome e simbolo, Democrazia cristiana e scudo crociato, si siano affermati sul campo dell’impegno prima che in una decisione formale. Non c’è una data di fondazione della Dc, che è invece l’accorparsi di impegni personali e collettivi, anche nella diversità delle posizioni.
Formazioni clandestine nei tempi della repressione fascista (gli universitari a Camaldoli, i neoguelfi a Milano, i popolari a Roma, i partigiani in campo), non si sono mai perse di vista e giungono, già nel 1944, a trovare un comun denominatore in due «insopprimibili esigenze»: «La prima è che, nonostante le apparenze, il problema della ricostruzione è un problema essenzialmente morale. La seconda è che la rivoluzione politico-sociale che si va compiendo... si debba attuare rispettando e salvando i diritti supremi della persona umana, e tutte le libertà essenziali per il suo sviluppo». Brescia è intrisa di quei fermenti: fin dal 1943, in Episcopio, vengono organizzate conferenze formative con partecipazioni sorprendenti, quali Amintore Fanfani e Giorgio La Pira.
L’adesione
Busi dà spazio a documenti, lettere e testimonianze, accanto alle relazioni riservate dei prefetti di allora, e intreccia con efficace articolazione le vicende internazionali, nazionali e bresciane. Mostra come le scelte dell’atlantismo, del primo spirito europeista e del faticoso avvio regionalistico, abbiano partecipazione ampia, anche per la vivacità organizzativa del partito che si va radicando sull’intero territorio.

Si creano i collateralismi che portano alla Dc idee e consensi, attivisti e classe dirigente, dall’Azione cattolica, dalle Acli, dagli Scout, dalle associazioni di insegnanti, maestri, artigiani, contadini. Il coinvolgimento delle Parrocchie è esplicito e diretto. Volantini, manifesti, bacheche e giornali murali: c’è una mobilitazione crescente, una passione politica che crede nel futuro. Mentre a livello nazionale Alcide De Gasperi è alle prese con tensioni magmatiche e crisi di governo continue, critiche e attacchi ribollenti piovono da alleati e avversari.
La società
La situazione bresciana è complessa e dolente: l’industria fatica a ripartire e le tensioni sindacali sono forti, l’agricoltura arranca al punto che qualche proprietario terriero rivela nostalgie per il passato regime. Mancano case e lavoro. La sfida maggiore è di contrapporre a sfiducia e delusioni una prospettiva di cambiamenti e speranza. I risultati elettorali danno ragione alla Dc, che vede confermata la sua scelta a favore della repubblica e conquista la maggioranza alla Costituente. Nel ’46 guadagna la maggioranza relativa a Brescia e quella assoluta in molti Comuni. Il suggello della vittoria arriva con le elezioni amministrative del 1951: Bruno Boni diventa sindaco in Loggia, Ercoliano Bazoli presidente della Provincia; democristiani sono i sindaci di 176 su 193 Comuni.

Emergono fin da subito le contrapposizioni che segneranno poi tutta la storia della Dc, a cominciare dalle correnti, giudicate all’inizio come salutari segni di dibattito e vitalità. Vi sono forti divergenze generazionali. Gli aderenti al Partito popolare ante-guerra e le famiglie di lunga tradizione, come i Bazoli (Luigi e Stefano), i Montini (Ludovico, Vittorio, Giorgio), i Capretti, i Franchi, i Minelli, personaggi di consolidata professione, come il primo direttore del Giornale di Brescia, Leonzio Foresti e quello de Il Cittadino, Carlo Bresciani, o Pietro Bulloni primo prefetto della liberazione, in dialettica con le nuove leve dei Fabiano De Zan e Mario Pedini, Annibale Fada e Laura Bianchini. Spicca fra i giovani il camuno Gianfranco Camadini.
Bruno Boni, da segretario provinciale, domina la scena con la sua abilità di tessitore, frequenta poco la sede di via Tosio, ostenta distacco e riceve nel suo studio da vicesindaco. Duro lo scontro fra i seguaci di Alcide De Gasperi e quelli di Giuseppe Dossetti. C’è chi è più attento alla tradizione conservatrice e chi ha maggior sensibilità sociale, come Carlo Albini e Alberto Bonardi, esponenti del sindacato, o l’economista Franco Feroldi.
Il territorio
Vi è contrapposizione, in fondo mai risolta, fra città e provincia, valli e campagna. Si fa sentire chi ha a cuore le questioni municipali, come il clarense Pietro Cenini. E c’è la grande regia di esponenti di spicco del clero: dalla Pace i padri Bevilacqua, Manziana e Marcolini, dalla Curia mons. Giuseppe Almici, plenipotenziario del vescovo Giacinto Tredici. Non mancano le vicende di potere e personali. Bruno Boni si lamenta che il Giornale di Brescia non lo sostenga abbastanza e vorrebbe un giornale tutto suo.
Il primo segretario provinciale Davide Cancarini viene silurato alle elezioni per la Costituente. Ludovico Montini convoca i giovani che hanno vinto con un blitz il congresso del ’46 e a muso duro spiega loro: «Ora vi assumete le responsabilità, naturalmente tutte, comprese quelle finanziarie». Lo stesso Montini che da Roma scrive: «Questo ambiente! Quanto gioca l’ambizione personale... Quasi ovunque essa è un barlume di politica e molto fumo di passioni».

Alla fine prevale la generazione dei trentenni: Bruno Boni in Loggia, Mario Pedini e Fabiano De Zan in via Tosio. E già con un piede a Roma. Fra il 1945 e il 1951 la Dc cambia pelle: non è più il Partito popolare «di parte» ma è la federazione d’un mondo composito e in fermento, che andrà crescendo fino ad esplodere nel boom degli anni Sessanta.
La presentazione del libro
Il volume sarà presentato venerdì 5 settembre, alle 17.30, nella Sala del camino di Palazzo Martinengo, in via San Martino della Battaglia a Brescia.

Intervengono all’incontro lo storico Guido Formigoni, il presidente del Consiglio comunale Roberto Rossini e il direttore della Voce del Popolo, Luciano Zanardini.
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