Fame, confusione, freddo: la guerra nel diario del garibaldino Almici

«Non si sentiva che il comando Avanti!, inoltre trombe, suonavano chi avanti, chi alt, chi attacco alla baionetta, molti del 3° Reggimento che erano di dietro sparavano a quelli davanti, insomma aggiunga nessunissima direzione dei capi, e così facilmente potrà farsene un’idea della grande confusione che regnava in quel combattimento».
Così Paolo Almici racconta in una lettera al capitano Amos Ronchey il clima della battaglia sul Monte Suello. E di come se la sia cavata: «Assolutamente affranto dalla stanchezza caddi, e mi riparai alla meglio da quella grandine di palle». Nella lettera alla mamma, invece, evita di entrare nei particolari, per dire solo che sta bene «ad onta della durissima vita che si conduce». Ma insiste sulla gran confusione: «Riguardo alla guerra non so cosa dirti, perché noi in queste montagne ne sappiamo meno degli altri».

La grafia elegante e acuta tratteggia scorci della Terza guerra di indipendenza, combattuta nel luglio 1866, tra le fila dei volontari di Garibaldi. Sono un piccolo gioiello, queste carte ingiallite, riportate anastaticamente e trascritte, ne «Il diario del garibaldino Paolo Almici da Chiari» (Liberedizioni, 164 pagine, 20 euro) che verrà presentato domenica 1 settembre al Festival del libro della Rocca d’Anfo.
La fortificazione sulle rive del lago d’Idro ricorre spesso nelle pagine di Almici, in quell’estate torrida. Bagolino, Caffaro, Brione, Condino, Monte Cerolo: sono i luoghi che i garibaldini conquistarono per aprirsi un varco verso Trento, prima che l’ennesimo armistizio li fermasse e il generale in giubba rossa dovesse pronunciare un altro «Obbedisco».

Il diario di Almici racconta una storia oltre il mito. Originalissimo per forma e contenuto. Recentissima è la scoperta, come scrive uno degli autori del volume, Luigi Bassi: «L’estate scorsa mentre ero intento a mettere in ordine i faldoni contenenti vecchie carte, lettere e altri documenti nel solaio della nostra casa di famiglia a Chiari, mi sono imbattuto in una piccola agenda, antica ma molto ben conservata... era il diario di Paolo Almici, bisnonno di mia moglie Cristina». E aggiunge: «Sono rimasto incredibilmente impressionato dalla scrittura, dal suo modo di narrare le vicende che stava vivendo».
Il racconto
In questo sta l’originalità del documento: non si incentra sulle battaglie o sulle imprese militari, ma riporta minuziosamente la vita quotidiana, i problemi reali come la pioggia, la fame, il freddo, la stanchezza e la ricerca di un posto per dormire, «regalando così – sottolinea Bassi –un’incredibile fotografia di cosa abbia significato partecipare a quell’impresa garibaldina».
Accanto ai dispacci ufficiali firmati da Garibaldi, annota i conti, quanto riceve e quanto spende per mangiare un po’ di polenta e formaggio, da alternare alla mezza galletta e al boccone di carne cruda, o per consolarsi, sfinito, con una «discreta ubbriaccatura». Stila, per sé più che per gli altri, appunti disincantati di quei giorni.

Lui è un volontario maturo nelle sue convinzioni, nonostante i 19 anni appena compiuti. Viene da una famiglia benestante, che dall’originaria Zone è scesa a Chiari a metà del Settecento. È legatissimo alla mamma, la clarense Afra Garuffa, donna avveduta e di rara solidità, anche perché il padre Giuseppe vive in Piemonte, in esilio dopo la condanna inflittagli dagli austro-ungarici per aver partecipato ai moti risorgimentali.
Paolo è studente universitario di Scienze fisiche e naturali a Pavia quando abbandona tutto per seguire Garibaldi. Quell’estate segna per sempre la sua vita. Congedato alla fine del conflitto, si laurea in ingegneria a Milano e crea con alcuni amici di fede garibaldina un paio di aziende di successo. Mette su famiglia, acquista poderi, ma proprio quando tutto sembra andare per il meglio, una malattia fulminante se lo porta via; ha solo 41 anni.
Il volume, curato da Marco Facchetti, e che ha come autore anche Gialuigi Valotti, grande appassionato di storie ottocentesche, si completa con la documentazione che riguarda i feriti di quella campagna militare giunti negli ospedali di Brescia e i profili di altri garibaldini: i bresciani Felice Bisleri e Nicostrato Castellini, e il milanese Alessandro Trotti Bentivoglio, marito della figlia di Alessandro Manzoni e Enrichetta Blondel.
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