CulturaGarda

Elkann: «Il mio Ezra Pound, genio travolto da ideologie malate»

Francesco Mannoni
Il libro «Il silenzio di Pound» verrà presentato dallo scrittore Alain Elkann domenica 13 ottobre sul lago di Garda: l’intervista
Alain Elkann
Alain Elkann
AA

Alain Elkann presenta domenica 13 ottobre «Il silenzio di Pound» al Festival del Lago di Garda ideato dal presidente del Vittoriale, Giordano Bruno Guerri. Questo appuntamento chiuderà la terza edizione di «GardaLo!» e vedrà protagonista la letteratura. Elkann parlerà sulla motonave Andromeda/Baldo, in partenza da Desenzano alle 11.25 con arrivo a Bardolino (partecipazione libera, con pagamento del biglietto di navigazione). Per chi conosce poco la storia del poeta «maledetto» americano, sarà un’occasione per apprendere i volteggi della sua vita movimentata all’insegna dei falsi miti politici del Novecento.

«Il mio Ezra Pound è vero ma è anche immaginario, perché molte cose che gli faccio dire le ho inventate io. Pound era un istrione, esagerato anche nel modo di vestire, di presentarsi. Ma quello che mi ha colpito è il contrasto fra una vita di fuochi d’artificio continui, contraddizioni e battaglie e poi silenzio. Un silenzio cupo, quasi». Quella specie di mutismo che negli ultimi anni di vita era diventata la caratteristica del grande poeta è il filo conduttore di un romanzo in cui Alain Elkann, già biografo di Moravia e autore di altri numerosi testi di successo, ha indagato «Il silenzio di Pound» (Bompiani, 160 pp. 15 euro). Elkann evidenzia toni, colori e misteri di una condizione intima che forse è l’enigma sostanziale di un genio. Ma cos’è il genio e come si sviluppa? È la domanda che tormenta il prof. Morli, docente universitario e scrittore protagonista del romanzo – forse un alter ego dell’autore –, intenzionato a scrivere una biografia di Pound poeta, saggista e traduttore delle opere di Confucio. Affascinato dalla vita più che dall’opera di Ezra Pound (Hailey, 30/10/1885 - Venezia, 1/11/1972), il prof. Morli ne studia i comportamenti e le opere, interrogandosi su come possano coesistere nella stessa persona la più profonda poesia dell’essere e la negazione estrema del bene surclassato da ideologie malate.

La cappa di orrori che grava sulla vita di Pound – anche se i suoi «Canti Pisani» splendono oltre ogni imperfezione morale – è difficile da dissipare. La sua grandezza si scontra con la sua idolatria per Hitler e Mussolini, ed Elkann, con piglio rigoroso, sonda le pieghe di un protagonista del modernismo e dell’imagismo, autore di un capolavoro di straordinaria intensità emotiva, che però aveva aderito alle distorsioni politiche che avevano sconvolto l’Europa scatenando una sorta di Apocalisse. Pagherà tutto il poeta che, ancor giovane, aveva scelto il destino di espatriato, prima a Venezia, poi a Londra, Parigi e Rapallo, dove ha vissuto per vent’anni.

Che cosa succede al suo arrivo in Italia?

In Italia diventa un fanatico fascista ossessionato dall’antisemitismo e dall’usura praticata dagli ebrei, senza mai cercare di essere un personaggio della nomenclatura fascista. Quando incontra il Duce gli parla di economia, e quando scoppia la guerra, anziché rientrare in America, fa trasmissioni radiofoniche alla radio esaltando il fascismo fino alla fine della Repubblica di Salò, e questo fa di lui un traditore del suo Paese. Arrestato è rinchiuso in una gabbia di ferro dall’esercito americano esposto alle intemperie e alla derisione delle guardie, di notte scrisse i «Canti Pisani». Per non giustiziarlo viene internato in un ospedale psichiatrico a Washington e dopo la liberazione, nel 1958, torna a Venezia con la sua amante Olga Rudge, la madre di sua figlia, e non parla più.

Che cosa cercava in quella sorta di enigma che è stata la vita di Ezra Pound?

Cercavo l’esempio di un genio. Non è detto che lui fosse un genio al 100%, però è una personalità molto poliedrica e contrastante. Ha un’esistenza, un’opera e un susseguirsi di cose che fanno la sua vita molto romanzesca. Un americano, praticamente uno dei padri del modernismo che opera nel mondo letterario come editor, corregge e fa pubblicare il capolavoro di T.S. Eliot e pubblica per primo i testi di James Joyce, ed ha anche una vita sentimentale complessa.

Il silenzio dei suoi ultimi anni veneziani, un rifiuto del presente?

È quello che indago nel mio libro. Ma non è che lui sia silenzioso e chiuso in casa. Cammina per le strade con il suo abbigliamento strambo: il cappellone, il bastone, la cappa, un’aria da dandy. Si lascia fotografare nella nebbia di Venezia, e questo suo silenzio nella Laguna mi sembra un grande narcisismo. Forse alla fine della sua vita così movimentata, stanco e deluso dal fatto che tutto quello in cui ha creduto è crollato, si sente uno sconfitto della storia.

Non volle mai redimersi?

In un’epoca più lontana, quando Menotti lo invitò a Spoleto e incontrò il poeta Allan Ginsberg, in qualche modo sembra abbia tentato di redimersi. Pound cercò di spiegargli che aveva anche degli amici ebrei. Non era antisemita verso l’individuo ma verso il sistema, la filosofia del mondo ebraico.

Pensa che oggi sia stato perdonato?

È il grande dibattito tra la persona e l’arte che ancora infervora e appassiona. Di un grande artista che però è un uomo che pratica delle idee anche estreme, sbagliate, è attraverso la sua vita che dobbiamo giudicare la sua opera, o l’opera è una cosa a sé, superiore a tutto?

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato

Icona Newsletter

@Buongiorno Brescia

La newsletter del mattino, per iniziare la giornata sapendo che aria tira in città, provincia e non solo.