Cultura

«Van Gogh come san Francesco, teso alla povertà per vivere gli altri»

Nicola Rocchi
«Dopo Librixia», Massimo Cacciari in San Barnaba per i cento anni di Morcelliana: «Dall’artista un messaggio di misericordia che può fornire un’indicazione al mondo attuale»
Il filosofo Massimo Cacciari
Il filosofo Massimo Cacciari
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Due incontri di «Dopo Librixia» concludono le celebrazioni per il centenario dell’editrice Morcelliana. Ieri, nell’auditorium San Barnaba pieno di ascoltatori attenti, Massimo Cacciari ha regalato una bellissima lezione su Vincent Van Gogh, prendendo spunto dal libro «Van Gogh. Un autoritratto», pubblicato quest’anno per l’editrice bresciana. Giovedì prossimo sarà il teologo Bruno Forte a discutere di «Eclissi e ritorno di Dio». Ma echi del sacro sono stati presenti anche nel discorso di Cacciari, che ha proposto il ritratto di un artista calato in una dimensione «mistica e misericordiosa», accostabile a quella di san Francesco; dominato dalla fortissima tensione alla «paupertas», a «spogliarsi di ogni possesso per diventare tutt’uno con la vita degli altri».

Antinichilismo

Cacciari è stato accolto da Eugenio Massetti, presidente di Confartigianato Brescia e Lombardia che organizza Librixia con il suo circolo culturale Ancos, e per Morcelliana dalla presidente Francesca Bazoli e dalla vicedirettrice Sara Bignotti. Il filosofo ha insistito sull’intento «antinichilista» che anima la pittura di Van Gogh: «Per il nichilismo autenticamente vissuto, il presente è una dannazione perché non è catturabile, l’istante fugge e diventa subito passato. La realtà, dunque, è niente; e l’arte moderna e contemporanea fa propria l’idea che reale non è la cosa, ma l’immagine che abbiamo di essa».

Gli impressionisti cercavano appunto di fermare non la realtà, ma una sua «impressione». Van Gogh, invece, «rifiuta radicalmente l’idea impressionista: per lui la realtà che ha di fronte è vera, viva. Vuole rappresentare la cosa nella sua realtà, ma “sub specie aeternitatis”, l’istante come un “nunc aeternum”». Il capolavoro «La notte stellata» (1889), con quel cielo in cui «astri e galassie compaiono in tutta la loro prepotenza», rivela come l’eternità dell’ente coincida per l’artista con «il suo generarsi e trasformarsi perenne, in un ciclo che non si ripete mai uguale. Un’eternità di metamorfosi continua, sempre accompagnata dal tormento. Il tratto di Van Gogh è tormentato, i colori dissonanti. Ci sono anche momenti in cui l’ente si esprime gioiosamente, ma sono sempre associati al tormento che costano l’esprimersi e il comunicarsi».

«Notte stellata», capolavoro di van Gogh
«Notte stellata», capolavoro di van Gogh

«Costantemente naufragante»

Le cose, infatti, per Van Gogh «vogliono entrare in comunicazione con noi: le percepisce come energia che ha bisogno di esprimersi e donarsi. Qui nasce per lui il problema: se la cosa vuole entrare nella mia vita, come faccio io a entrare nella sua? La sua pittura cerca di rappresentare la cosa sub specie aeternitatis, e nello stesso tempo di esprimere la volontà di diventare tutt’uno con la vita delle cose. È il sentire proprio dell’esperienza mistica».

In questa ricerca, il pittore si sente «costantemente naufragante», tendente a un obiettivo che non gli è mai possibile raggiungere pienamente. Cacciari lo vede come un pellegrino e invita a riconoscere i suoi «veri autoritratti» nei dipinti in cui Van Gogh raffigura alcune paia di scarpe abbandonate: «Scarpe dismesse, ma con la suola ancora ben chiodata, buone per non dismettere l’andare. Scarpe usate, sofferte, come le persone che incontra e della cui vita cerca di diventare partecipe. Ferite come lui, che giunse a tagliarsi l’orecchio per spogliarsi di ogni suo possesso e partecipare pienamente alla vita dell’altro».

Era, certo, «clinicamente pazzo, oscillante tra momenti di gioia e di depressione». In una delle ultime opere, il «Campo di grano con corvi», si può leggere «la sintesi di questa passione: la serie luminosa e solare del colore del campo di grano e il segno nero dei corvi e delle nuvole, simboli del nostro fallimento e della nostra impotenza». Ma era anche un appassionato pellegrino di stampo francescano, che accanto a tanti capolavori, con il suo anelito mistico, ci consegna un messaggio di misericordia «che può fornire un’indicazione al mondo attuale».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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