Dialèktika

La butighìna di Alfredo e l’odore della Pégla

A spasso nelle storie di Galvagni, «Compagn che ala Sisal»
Un calzolaio nella sua bottega
Un calzolaio nella sua bottega
AA

Proprio come la butighìna di Alfredo scarpulì, minuscolo scrigno che custodiva un tesoro di particolari: «Forbes, lizne, furme de mile müzüre, spac de töte le sorcc, broche, bruchitine, siminsine e chei martili lezer che dopèra de solit i scarpulì; e en piö, sura el mercat, en universe de udur: cole, virnis, acqua raza... E pegla. E cüram». Proprio come la butighìna d’en scarpulì, così le pagine dell’ultimo lavoro di Fabrizio Galvagni - valsabbino docente di lettere oggi libero dal vincolo della campanella, appassionato e sensibile autore di cose dialettali - custodiscono il tesoro della parlata dei nostri nonni. Tredici storie (qui la sfida inusuale è misurarsi con la prosa) raccolte sotto il titolo «Compagn che ala Sisal».

Tredici vicende minime. Raccontate con delicatezza, spesso accompagnate con sorriso intelligente e qua e là arricchite da un tocco surreale. E da mille modi di dire e di termini oggi in bilico di fronte al baratro dell’oblio, che Galvagni recupera e restituisce con naturalezza. Guardate solo - a titolo di esempio - all’inventario nella bottega di Alfredo, tra broche, bruchitine e siminsine (i ciudilì de somènsa erano chiodi talmente piccoli da sembrare semente di ortaggi). Oppure alla pegla, la pece (per i latini era la «picula»), o ancora al cüram, il cuoio (i romani lo chiamavano «corium» o «coriamen», radice che ritroviamo ad esempio nell’aggettivo italiano «coriaceo»).

Chiuse le pagine del libro, restano un sorriso e la memoria degli odori di una butighìna de scarpulì. Accompagnati dal mistero di una scarpa spaiata, pensata per un piede solo. Chi di questo mistero coglie il senso profondo ha fatto tredici. Compagn che ala Sisal.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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