Gros e ligòs: il dialetto bresciano e i suoi nomignoli

Ah, non c’è che dire: in quanto a nomignoli il bresciano non è secondo a nessuno; possiede una ricchezza e una varietà straordinarie (anche se in fondo esse rivelano un atteggiamento di relazione – il «bullismo di paese» – che la nostra sensibilità non condivide più). Te se’ prope gros e ligòs! Lo si dice di solito al bel ragazzotto - bianc e ros, el reclàm dela salute - che tuttavia non brilla per prontezza e per voglia di lavorare.
Sul gros niente da dire: riassume bene in un unico vocabolo la prestanza fisica e la grossolanità; ma ligòs? Sui dizionari più antichi incontriamo – bellissime – le definizioni toscaneggianti: ciompo, ciondolone, tempellone, tentennone, sciamannato, dormalfuoco, merendonaccio, scioperone ecc. Il Vocabolario dei Seminaristi (1759) «inventa» anche ligozarìa: asinaggine, asineria, asinità. Ma curiosa è soprattutto l’etimologia, propostaci da Costanzo Gatta (Ve zó del fic, GAM 2016), secondo il quale l’espressione avrebbe origine dal latino Ego sum resurrectio et vitam (Gv 11, 25), formula molto ricorrente nella liturgia, soprattutto nelle preghiere per i defunti.
Nell’immaginario popolare spesso il prevosto era un privilegiato, un poco sfaccendato, ma sempre servito e ben accudito. Ed era «quello dell’Ego sum», diventato in dialetto chel del’egosum, e da lì, grazie alle metamorfiche capacità di piegare i suoni alle sue necessità, in cui la parlata popolare è maestra, semplicemente el legosù. Avvertito poi legosù (anche nella variante ligosù) come un accrescitivo, il dialetto – sempre ossequiente alla grammatica – aggiustava la forma al grado positivo: legòs/ligòs.
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