Ci diciamo sgorlandù!

Io, vagabondo che son io, vagabondo che non sono altro… grande successo dei Nomadi; era la calda estate del 1972, avevo appena finito la V ginnasio... Se i Nomadi fossero stati bresciani, avrebbero cantato: sgorlandù, só prope en sgorlandù che gh’è mia el second...
Da dove viene questo curioso vocabolo sgorlandù (o anche scurlandù)? Una delle ipotesi possibili è che derivi, così come i vocaboli italiani crollare, scrollare, sgrollare ecc., dal latino tardo *excorrotulare, con significato di rotolare via, rotolare giù. È curioso che il bresciano abbia generato due verbi distinti – sgorlà e sgorlì – per significare rispettivamente vagabondare e scuotere, non conoscendo invece il significato italiano di crollare. I due verbi sono meno lontani di quanto si pensi: lo sgorlandù vaga infatti per il mondo guardandosi attorno, scuotendo il capo da una parte e dall’altra, quasi… shakeggiando (non sarà così romantico come il flaneur parigino, ma insomma…). Troviamo in tal senso anche la bella espressione mà sgorlando (che fa il paio con mà scuasando) per definire chi si reca a far visita a un amico a mani vuote. Ed esiste anche la Madonna della sgorlanda; così i fedeli di Bovegno chiamano affettuosamente la statua della Madonna della Misericordia (e dietro c’è tutta una storia di sacri vagabondaggi).
Compagno d’ozi dello sgorlandù è lo sbrindulù. L’origine del termine è sbrendol (nel senso di brandello), a sua volta dal francone braon, (pezzo, boccone di carne). Sarà forse perché chi fa la vita del bighellone perdigiorno, scioperato e fannullone, ha spesso un abbigliamento… tutto sbrendoi e sbreghi?
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