«Che taglia porta, signor Ulisse?»

Ma in dialetto si può dire tutto? No! E spesso «non si può dire» - è banale ricordarlo - perché «gh’è mia la parola». Ah, ma il dialetto non si arrende e, se è possibile, ricorre al linguaggio immaginifico, in cui è maestro.
Tempo fa ho partecipato a una conferenza; il relatore ricordava l’aggettivo con cui Omero (o chi per lui) già nel primo verso dell’Odissea, definisce Ulisse: polýtropos (vocabolo composto di polýs = molto e trópos, dal tema di trépo = volgere; e quindi uno che si volge da molte parti, capace di adattarsi a tutte le situazioni, magari anche venendo meno alla propria personale coerenza).
Di solito, se non si vuole replicare politropo, lo si traduce «di ingegno versatile»; qualcuno preferisce «dalle molte astuzie»; Pindemonte nella sua storica traduzione scelse «quell’uom di multiforme ingegno». Se cerchiamo l’equivalente in dialetto… te ghe ‘n et l’aze! Ce lo sogniamo! Eppure, chi si esprime in bresciano (sì d’accordo: magari un dialettofono strong e un po’ incanutito) sa che esiste un’espressione che rende tutto sommato bene il polýtropos greco, calandolo per di più nell’ambiente di cui il dialetto è stato per secoli espressione. Non è una semplice parola - un «aggettivo qualificativo» direbbe la maestra - ma un’immagine, un «flash»: in bresciano l’uomo politropo è semplicemente quello che el gh’à el cül che va bé per töte le braghe. D’accordo, come tutte le traduzioni, non è perfetta, ma l’immagine, fulminante ed efficacissima, esemplifica bene come il dialetto sappia porre rimedio all’atavica penuria di termini astratti. Alla faccia di Pindemonte e dell’epica omerica!
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