Canta, dialetto canta

I suoni che articoliamo (le lettere, quando poi li mettiamo per iscritto) sono i mattoncini di ogni lingua. Ogni lingua ha i suoi; dall’incontro e dal ripetersi di questi suoni possono nascere curiosi accostamenti, a volte veri e propri scioglilingua.
Il bresciano, per fonetica e per cultura, ne è particolarmente ricco. I «classici» sono noti: te fala mal amó la mà? oppure sic sac de soc sec. Rimane poi ancora da risolvere l’enigma del perché chei de Sunic ghe pias i gnoc, i va a cà gnec, i a maia gnac! Quasi sempre l’effetto è ottenuto attraverso quella che gli esperti chiamano allitterazione, ovvero il ricorrere e ripetersi degli stessi suoni o di suoni simili (-ic, gnoc, gnec, gnac).
Premetto che questi «effetti sonori» vanno gustati semplicemente ascoltandoli, rimuovendone dalla mente il significato. Talvolta capitano per caso e, per così dire, si fanno da sé. Analizziamo, ad esempio, il motto di saggezza popolare che dà delle indicazioni su come caricare cavalli e muli: Caal söl col e mül söl cül (è un doppio quinario); detto e ascoltato di corsa pare una parola uscita dal bazar della Istanbul ottomana: Caalsölcolemülsölcül.
Giorni fa ho sentito formulare questa domanda: Quacc agn gh’ala?; detto d’un fiato diventa quaciagngàla, che pare il mantra pronunciato da un bramino durante una cerimonia indù. E ancora: I gh’a en gal en grand gaiard (Igàngalengrangaiàrt) - ovvero possiedono un gallo molto robusto - I töl chel che i töl (Itölchelchitöl) - ovvero prendono quello che vogliono prendere - che sembra davvero il nome di un sovrano azteco. Potere della lingua e della fantasia!
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