La serie tv sulla birra Guinness tra eredità e lotta in Irlanda

A volte la storia d'un paese s'intreccia con quella di un'azienda; non solo sotto il profilo economico, ma anche sociale. La serie «House of Guinness» da oggi su Netflix, sostanzia la premessa e narra, realtà e tradizione popolare, le conseguenze familiari, ma anche della società civile d'epoca, della morte di Benjamin Lee Guinness (1798-1868), figlio di quell'Arthur che fondò nel 1759 l'omonimo birrificio irlandese il cui marchio con l'arpa gaelica dorata è tuttora notissimo nel mondo.
Parte proprio dal funerale di Benjamin Guinness, col sacerdote che sottolinea “siamo qui riuniti per piangere la morte di un uomo che ha portato pace e prosperità ai cittadini di Dublino”, la narrazione di questo «period drama» ottocentesco. Col vanto d'essere stato ideato e gestito come showrunner dal 66enne produttore inglese Steven Knight, già creatore dell'apprezzata fiction seriale «Peaky Blinders».
Lo slogan di «House of Guinness» dice: «Potere, ribellione, famiglia»; una triade per cui la dynasty birraia diventa uno spaccato storico-sociale dell'Eire, l'indipendente Repubblica d'Irlanda. Gli 8 episodi sono diretti da Tom Shankland, già regista dell'italserie “Il gattopardo” e dalla libanese Mounia Akl.
I principali protagonisti sono i 4 figli del patriarca che nel testamento attua una lacerazione: «Io, sir Benjamin Guinness, lascio in eredità il birrificio ai miei citati figli Edward e Arthur in egual misura. Ritengo saggio non gravare mia figlia Anne e Benjamin con le tentazioni derivanti da un ingente patrimonio». Non a caso in una scena della serie si commenta poi: «La morte di vostro padre e il birrificio hanno sortito l'effetto di un bastone infilato in un nido di vespe». Da un lascito così duramente non obiettivo, nascono contrasti e trame che poi s'allargano a quella Dublino assetata non solo di birra, ma anche di libertà e giustizia: «Chi - come cita un altro slogan - quando i guai si avvicinano, riuscirà a mantenere la calma?».
I discendenti così divisivamente distinti nel testamento sono interpretati dal nordirlandese Anthony Boyle (Arthur Guinness), dal londinese Louis Partridge (Edward), dal dublinese Fionn O'Shea (Benjamin) e dalla liverpooliana Emily Fairn (Anne). E intorno alle loro vicissitudini si srotola quella più ampia della realtà irlandese d'allora, fra ribellione operaia e popolare, e lotta per i diritti.
Una serie per chi ama buon bere e buona fiction, ma non solo: al birrificio – dal 1997 della multinazionale britannica Diageo Plc nata dalla fusione tra Grand Metropolitan e Guinness - fa capo dal 1954 il «Guinness dei primati», libro che elenca i più strani record d'ogni anno. E la serie tv è pure occasione per sognare la visita alla Guinness Storehouse in St. James's Gate 8: prendendola in affitto nel 1759 per novemila anni (!), così narra la leggenda, Arthur Guinness avviò il mito di uno dei luoghi oggi più visitati dai turisti: con 38 euro si prenota online la visita e si ha una pinta di birra e un certificato-ricordo. Ma per gustare la Stoutie scura e schiumosa al Gravity Bar, occorre un extra. Eh, la Storia, che alimenta persino la fiction, vale la spesa...
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