Cinema

La serie tv sulla birra Guinness tra eredità e lotta in Irlanda

Francesco Fredi
Da oggi su Netflix gli otto episodi del «period drama» ottocentesco «House of Guinness». Un patriarca, quattro figli divisi, l’eterna sfida fra ricchi e poveri
Louis Partridge, uno dei fratelli Guinness, nella serie "House of Guinness" da oggi su Netflix
Louis Partridge, uno dei fratelli Guinness, nella serie "House of Guinness" da oggi su Netflix
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A volte la storia d'un paese s'intreccia con quella di un'azienda; non solo sotto il profilo economico, ma anche sociale. La serie «House of Guinness» da oggi su Netflix, sostanzia la premessa e narra, realtà e tradizione popolare, le conseguenze familiari, ma anche della società civile d'epoca, della morte di Benjamin Lee Guinness (1798-1868), figlio di quell'Arthur che fondò nel 1759 l'omonimo birrificio irlandese il cui marchio con l'arpa gaelica dorata è tuttora notissimo nel mondo.

Parte proprio dal funerale di Benjamin Guinness, col sacerdote che sottolinea “siamo qui riuniti per piangere la morte di un uomo che ha portato pace e prosperità ai cittadini di Dublino”, la narrazione di questo «period drama» ottocentesco. Col vanto d'essere stato ideato e gestito come showrunner dal 66enne produttore inglese Steven Knight, già creatore dell'apprezzata fiction seriale «Peaky Blinders».

Lo slogan di «House of Guinness» dice: «Potere, ribellione, famiglia»; una triade per cui la dynasty birraia diventa uno spaccato storico-sociale dell'Eire, l'indipendente Repubblica d'Irlanda. Gli 8 episodi sono diretti da Tom Shankland, già regista dell'italserie “Il gattopardo” e dalla libanese Mounia Akl.

I principali protagonisti sono i 4 figli del patriarca che nel testamento attua una lacerazione: «Io, sir Benjamin Guinness, lascio in eredità il birrificio ai miei citati figli Edward e Arthur in egual misura. Ritengo saggio non gravare mia figlia Anne e Benjamin con le tentazioni derivanti da un ingente patrimonio». Non a caso in una scena della serie si commenta poi: «La morte di vostro padre e il birrificio hanno sortito l'effetto di un bastone infilato in un nido di vespe». Da un lascito così duramente non obiettivo, nascono contrasti e trame che poi s'allargano a quella Dublino assetata non solo di birra, ma anche di libertà e giustizia: «Chi - come cita un altro slogan - quando i guai si avvicinano, riuscirà a mantenere la calma?».

I discendenti così divisivamente distinti nel testamento sono interpretati dal nordirlandese Anthony Boyle (Arthur Guinness), dal londinese Louis Partridge (Edward), dal dublinese Fionn O'Shea (Benjamin) e dalla liverpooliana Emily Fairn (Anne). E intorno alle loro vicissitudini si srotola quella più ampia della realtà irlandese d'allora, fra ribellione operaia e popolare, e lotta per i diritti.

Una serie per chi ama buon bere e buona fiction, ma non solo: al birrificio – dal 1997 della multinazionale britannica Diageo Plc nata dalla fusione tra Grand Metropolitan e Guinness - fa capo dal 1954 il «Guinness dei primati», libro che elenca i più strani record d'ogni anno. E la serie tv è pure occasione per sognare la visita alla Guinness Storehouse in St. James's Gate 8: prendendola in affitto nel 1759 per novemila anni (!), così narra la leggenda, Arthur Guinness avviò il mito di uno dei luoghi oggi più visitati dai turisti: con 38 euro si prenota online la visita e si ha una pinta di birra e un certificato-ricordo. Ma per gustare la Stoutie scura e schiumosa al Gravity Bar, occorre un extra. Eh, la Storia, che alimenta persino la fiction, vale la spesa...

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