Su Netflix la storia di Ed Gein, l’uomo che ha ispirato «Psycho»

Su Netflix è arrivata la terza stagione di «Monster», la serie tv antologica (ogni stagione è una storia a sé, quindi) ideata da Ryan Murphy e Ian Brennan che esplora le vite di alcuni tra i più noti e discussi assassini della cronaca americana. L’esordio del 2022 era stato dedicato a Jeffrey Dahmer, con Evan Peters nei panni del serial killer di Milwaukee, e aveva scatenato un enorme dibattito sull’opportunità di riportare in scena crimini così recenti e traumatici. La seconda stagione aveva invece spostato l’attenzione sul caso dei fratelli Lyle ed Erik Menendez, responsabili dell’omicidio dei genitori a Beverly Hills negli anni Novanta; proprio il clamore della serie ha portato a riaprire il loro caso, ma per ora i giudici si sono espressi contro un loro rilascio.
Ora l’attenzione si concentra su uno dei nomi più spaventosi e allo stesso tempo leggendari della cronaca nera: Ed Gein, la cui storia reale ha alimentato per decenni l’immaginario dell’horror e continua a ispirare film e serie a distanza di oltre sessant’anni.
La storia di Ed Gein
Edward Theodore Gein è nato nel 1906 nella contea di La Crosse, Wisconsin, e ha trascorso l’infanzia in una famiglia profondamente isolata. La madre Augusta, spesso descritta come una fanatica religiosa, ha imposto ai figli una rigida morale e li ha tenuti lontani da ogni contatto sociale, alimentando un ambiente di repressione e dipendenza psicologica. Dopo la morte del padre e del fratello Henry in circostanze mai del tutto chiarite, Gein è rimasto solo con la madre fino al 1945, quando Augusta è morta di ictus lasciandolo privo di riferimenti. Da quel momento, secondo le ricostruzioni, la sua psiche già compromessa è precipitata: ha cominciato a frequentare cimiteri nottetempo, esumando corpi femminili che ha utilizzato per costruire oggetti e abiti macabri, in un tentativo di «ricreare» la figura materna.
Il 16 novembre 1957 è stato arrestato dopo l’omicidio della negoziante Bernice Worden, la cui scomparsa aveva insospettito il figlio e condotto la polizia nella fattoria di Plainfield. Lì gli agenti hanno trovato una scena che è entrata nella leggenda del crimine: maschere umane, teschi trasformati in suppellettili, un abito cucito con pelle e altri resti anatomici sparsi in casa. Gein ha confessato anche l’omicidio della barista Mary Hogan, uccisa nel 1954, e ha ammesso di aver dissotterrato diversi cadaveri femminili. Giudicato mentalmente instabile, è stato dichiarato non colpevole per infermità e ha trascorso il resto della vita in ospedali psichiatrici fino alla morte nel 1984.
Cinema
La portata di quell’orrore ha generato un’eco culturale senza precedenti, influenzando profondamente il cinema e l’immaginario popolare. Alfred Hitchcock, colpito dal caso mentre era ancora oggetto di cronaca, ha modellato su Gein la figura di Norman Bates in «Psycho», riprendendo il legame malato con la madre e la casa isolata come luogo di segreti. Negli anni Settanta, Tobe Hooper ha preso spunto dalle macabre scoperte di Plainfield per creare Leatherface e la sua maschera di pelle nel capolavoro del cinema horror «Non aprite quella porta», film che ha definito l’estetica dello slasher.
Nei primi anni Novanta, Thomas Harris e Jonathan Demme hanno inserito nel personaggio di Buffalo Bill de «Il silenzio degli innocenti» l’elemento più disturbante: la costruzione di un «abito da donna» a partire dalle vittime, direttamente ispirato alle pratiche confessate da Gein. A lui hanno rimandato anche opere meno note ma di culto, come «Deranged» del 1974, uno dei primi tentativi di raccontarne la vicenda senza filtri, e altri film che ne hanno rielaborato la figura attraverso citazioni, riferimenti visivi e simbolici. Dalla metà del Novecento in poi, Gein è diventato quasi un archetipo del «mostro domestico», nascosto nella provincia americana apparentemente tranquilla, un’ombra che riaffiora ogni volta che l’horror è tornato a interrogarsi sulla normalità che diventa follia.
Su Netflix
Con la nuova stagione di «Monster», intitolata «The Ed Gein Story», Netflix sceglie di affrontare ancora una volta un terreno delicato, cercando un equilibrio tra fedeltà ai fatti e narrazione drammatica. La serie ricostruisce la vita di Gein dall’infanzia all’arresto, esplorando il rapporto morboso con la madre Augusta e l’isolamento nella fattoria del Wisconsin come elementi centrali per comprendere la sua deriva.
Charlie Hunnam (protagonista della serie «Sons of Anarchy») veste i panni di Gein con un lavoro fisico e psicologico marcato: l’attore ha perso peso e modificato l’aspetto per restituire l’immagine di un uomo fragile e inquietante. Accanto a lui Laurie Metcalf dà corpo alla figura opprimente della madre, mentre Suzanna Son interpreta uno dei personaggi che ruotano intorno al mondo deformato di Gein.
Netflix ha descritto la stagione come una «cronaca immersiva» che evita di indugiare nell’orrore gratuito, preferendo una ricostruzione storica accurata e una tensione psicologica costante. Le prime reazioni non si sono fatte tardare, nel weekend d’uscita: la critica ha sottolineato l’atmosfera cupa e soffocante, ma resta anche divisa sulla necessità di tornare a vicende tanto oscure, riconoscendo al contempo la solidità delle interpretazioni e la scelta di un registro meno sensazionalista rispetto alla stagione dedicata a Dahmer – che aveva sollevato enormi polemiche, soprattutto da parte dei familiari delle vittime.
Il risultato è una serie che continua a interrogare sul fascino morboso della cronaca nera e sulla sottile linea che separa la realtà dall’horror che essa stessa ispira. E lo fa raccontando, di nuovo, la storia di uno dei peggiori serial killer mai esistiti.
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