Emiliano Ponzi torna ai pennelli con il nuovo libro «Work in progress»

Emiliano Ponzi è un artista multidisciplinare italiano che vive a New York. Lo stile unico delle sue illustrazioni gli ha aperto le pagine di giornali (come il New Yorker, con cui ha vinto la medaglia d’oro della Society of Illustrators per il podcast In the dark) e clienti famosi (Apple, MoMA, Moleskine, Barilla e Tiffany). Ha pubblicato «10x10« (Corraini, 2011), riassunto dei suoi primi 10 anni di lavoro, «The Journey of the Penguin» (2015) per gli 80 anni di Penguin Books, «The great New York Subway Map» (MoMA, 2017), il diario di viaggio «American West» (Corraini, 2018) e «Chronicle from the Red Zone» (Tapirulan, 2020), dedicato al lockdown.
Il suo ultimo libro è «Work in progress» (Corraini, 2024, 112 pagine, 23 euro), riflessione sul passaggio da digitale a pennelli per ricreare alcune delle sue opere (esposte alla mostra «Together» a New York nel 2024). Il libro, con introduzioni di Maria Vittoria Baravelli (curatrice d’arte), Steven Heller (School of Visual Arts New York) e Damiano Gullì (Triennale di Milano), è un percorso di consapevolezza condiviso «perché l’essere umano e il professionista cercano risposte a domande tanto specifiche quanto universali». Lo abbiamo intervistato.
Com’è nata l’idea di rifare in analogico le sue opere?
Avevo due esigenze. La prima era attivare un aspetto cognitivo diverso focalizzato sulla gestualità che presuppone una conoscenza più verticale su come mischiare, ottenere, stendere il colore e che modifica il rapporto con l’oggetto: in digitale, soggetto e oggetto sono la stessa cosa, sulla tela sono separati perché il quadro è un oggetto unico non replicabile. La seconda era accedere al mondo delle gallerie: per farlo, ho deciso di trasferire l’estetica delle mie illustrazioni in pezzi unici per galleria.

Ha dunque trovato un nuovo tipo di pubblico?
Il pubblico è diverso perché si tratta di ambiti diversi che non necessariamente dialogano: quello delle gallerie non è detto segua il mondo dell’illustrazione, più legato alla commercial art. Hanno interessi, esigenze e disponibilità diversi: è più probabile che il pubblico della galleria apprezzi l’illustrazione che un pubblico che apprezzi l’illustrazione sia anche un fruitore delle gallerie.
Nel libro ci sono molte foto che la mostrano in tuta da lavoro: da un punto di vista corporeo, cosa ha scoperto con questa esperienza?
Ci sono tante foto perché il titolo è «Work in progress» e mostra quello che c’è prima del quadro finito: parto dalla pittura e sviluppo un breve saggio in cui racconto la mia idea di creatività raccogliendo le due facce della stessa medaglia, digitale e analogica. Per quanto riguarda il corpo, la tecnica influenza creazione e generazione delle idee: pitturando ti accorgi che il corpo ha una rilevanza importante per la sua presenza nello spazio. Tuttavia, pittura digitale e analogica si completano: cimentarsi con la pittura implica una serie di memorie muscolari o emotive che influenzano l’ambito digitale.
Da cosa nasce l’idea del libro?
Dall’esigenza di dare alle cose che sento una forma pulita, precisa, e metterle in ordine anche nella mia testa. È il bisogno di dare un nome alle cose, che è poi la nostra volontà interna: i titoli dei paragrafi sono i vari aspetti del mio essere artista che lavora su più ambiti.
Scrive che l’intelligenza artificiale azzera qualsiasi forma di valore dato al saper fare tecnico o artigianale. Pensa che l’IA influisca anche sulla pittura a livello profondo oppure rimane uno strumento?
Se, nel mondo capitalista dove viviamo, un’invenzione genera profitto, quell’invenzione diventerà uno stato. Questo è il caso dell’IA, per cui è molto difficile che un freno morale possa impedirle di espandersi fino ad ambiti che ancora non conosciamo. Per cui posso solo accettare questa cosa e continuare a vivere nella mia bolla: ho scelto un lavoro che è una passione che posso perseguire, mi piace trovare soluzioni estetiche da solo e l’ho sempre vissuto sia come una gioia che come una sfida continua. Dopodiché, se un giorno qualcosa sostituirà davvero tutto questo, cercherò una soluzione di vita che mi permetta di continuare a dipingere e a creare nel modo che ho sempre seguito.
Nel libro si definisce uno storyteller che crea immagini: nei suoi prossimi lavori mescolerà analogico e digitale?
Lavoro molto in digitale, l’unico modo per soddisfare tutte le mie commissioni, ma porterò avanti la pittura. Come le rette parallele, non credo però che le due tecniche si incroceranno in un’opera ma penso che rimarranno separate perché, nella loro specificità, ognuna ha un suo fascino di scoperta.
Vivere negli Usa quanto ha influenzato il suo lavoro?
Lo influenza il panorama, inteso come ciò che s’incontra uscendo di casa: sicuramente il luogo dove si sta ha un impatto sul lavoro di chi, come me, ogni giorno incamera, rielabora, sedimenta e ripropone quel mondo. E mi influenza perché è un luogo diverso, fatto di luci e percezione diverse, dove si scoprono continuamente persone, culture, conoscenze diverse.
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