La conservatrice Morandini: «Così ho visto rinascere Brescia romana»

Giulia Camilla Bassi
Francesca Morandini ha recentemente lasciato l’incarico per assumere lo stesso ruolo a Verona: dagli anni Novanta ha assistito e contribuito alla valorizzazione archeologica della città
La conservatrice Francesca Morandini
La conservatrice Francesca Morandini
AA

La valorizzazione del patrimonio archeologico di Brescia, dagli anni Novanta a oggi, ha segnato un’epoca forse irripetibile nella storia culturale della città. Un periodo di profonde trasformazioni, in cui è stato restituito alla comunità uno dei complessi archeologici più significativi e meglio conservati d’Italia, oggi riconosciuto Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco.

Tra i protagonisti di questo straordinario percorso, accanto alle istituzioni e alla Soprintendenza, vi è Francesca Morandini, che per diciassette anni ha ricoperto il ruolo di conservatrice delle collezioni e delle aree archeologiche per il Comune di Brescia e, recentemente, per Fondazione Brescia Musei. Da gennaio 2025 ha intrapreso una nuova sfida, lasciando il suo incarico per assumere lo stesso ruolo per i Musei Civici di Verona. L’abbiamo incontrata per ripercorrere insieme le tappe di questo entusiasmante viaggio nella storia dell’archeologia bresciana.

Francesca, come è iniziato il suo percorso nel campo dell’archeologia e qual era la situazione in città?

Ho iniziato il mio percorso nella prima metà degli anni Novanta occupandomi di alcune schedature di reperti archeologici. Per quanto riguarda l’archeologia, all’epoca era visitabile solo il Tempio capitolino con il vecchio museo aperto a metà degli anni Cinquanta e situato nelle sale superiori, spazi che oggi non sono più visitabili poiché mancano le condizioni di sicurezza per potervi accedere. Santa Giulia era un enorme cantiere, le domus dell’Ortaglia erano coperte da una tettoia, il santuario repubblicano solo parzialmente scavato e casa Pallaveri – dove oggi hanno sede gli uffici della Fondazione – era un palazzo praticamente sventrato… Dal punto di vista archeologico la città mostrava poco, solo il Tempio e le collezioni esposte al suo interno.

  • Nelle foto qui accanto, il raffronto tra la Vittoria Alata bronzea di   Brescia (a sinistra)  e l'Afrodite di Capua, proveniente dall'anfiteatro della cittadina campana,  replica marmorea eseguita al tempo di Adriano da un originale di scuola   lisippea.  Qui sopra, una veduta degli scavi nella Domus delle Fontane.  In basso, il mosaico con Dioniso che dà il nome alla Domus rinvenuta negli   anni '60.
    Gli scavi alla domus dell'Ortaglia negli anni Sessanta - © www.giornaledibrescia.it
  • Uno degli ambienti della «Domus dell'Ortaglia» recuperati durante gli scavi 
1968-71
    Gli scavi alla domus dell'Ortaglia negli anni Sessanta - © www.giornaledibrescia.it
  • Un particolare
del mosaico
con Dioniso
che abbevera
una pantera
(inizio del II sec.
dopo Cristo)
che decora
il pavimento
della domus
rinvenuta
negli anni '60
nell'«ortaglia»
di Santa Giulia.
Questi vani
assieme a quelli
della domus
scavata
lo scorso anno
saranno visibili
dal marzo 2003

,Un vano della prima domus dell'Ortaglia
    Gli scavi alla domus dell'Ortaglia negli anni Sessanta - © www.giornaledibrescia.it
  • Mosaici pavimentali nella «domus» dell'Ortaglia
    Gli scavi alla domus dell'Ortaglia negli anni Sessanta - © www.giornaledibrescia.it
  • Dal primo marzo le Domus dell'Ortaglia saranno aperte al pubblico. In vista   dell'appuntamento il Museo di Santa Giulia e la Fondazione Cab promuovono   con il Giornale di Brescia la pubblicazione di schede didattiche, un   concorso e una storia a fumetti per avvicinare anche i più giovani alla   scoperta di Brixia Romana. Nella foto il mosaico della Domus di Dioniso. /   SERVIZI A PAGINA 11
    Gli scavi alla domus dell'Ortaglia negli anni Sessanta - © www.giornaledibrescia.it

Erano gli anni in cui nasceva Santa Giulia…

Nel corso degli anni è avvenuta un’enorme trasformazione alla quale ho avuto la fortuna di poter partecipare, proprio lavorando all’apertura del Museo della Città. Un po’ alla volta, infatti, mi è stato affidato il ruolo di coordinamento tra i progetti del comitato scientifico – che stabiliva quali temi trattare e con che sequenza raccontarli – e gli architetti che andavano progettando gli allestimenti e che avevano bisogno di una serie di informazioni tecnico-pratiche. Mi sono quindi occupata di selezionare opere e reperti, individuare quelli da restaurare, comprendere in quale sequenza ottimale disporli, verificarne gli spostamenti… Questo mi ha permesso di partecipare ad una fase entusiasmante del lavoro e di maturare una conoscenza e una consapevolezza solida del patrimonio, perché vivevo tra depositi e inventari. Da neolaureata in Archeologia non è stato facile imparare a costruire un museo, ma professionalmente sono stata plasmata in quei momenti.

Quali sono stati gli interventi più importanti?

Dall’apertura delle prime sezioni di Santa Giulia, nel 1998, è stato tutto un crescendo. Nel 2003 abbiamo potuto completare lo scavo delle Domus dell’Ortaglia e annetterle al museo. Anche questa è stata una conquista eccezionale perché è raro poter entrare direttamente dalle sale museali all’interno di un’area archeologica… e che area! Quella delle Domus è di qualità altissima sia a livello di conservazione dei resti che per la suggestione dell’allestimento. A seguire è stata la volta del Viridarium. Nel frattempo, era stato avviato il percorso per l’iscrizione alla lista del Patrimonio Mondiale Unesco che ha avuto esito positivo nel 2011. E poi, via via, abbiamo potuto riaprire il Capitolium come tempio (e non più come museo) e nel 2013 il Teatro romano.

Il 2015 è stato l’anno dell’apertura del santuario repubblicano, affiancato dalla mostra «Roma e le genti del Po». Infine, il progetto di studio, restauro e valorizzazione della Vittoria Alata che si è concluso nel 2021 al termine del periodo della pandemia. A tutto questo si aggiunge anche l’interessante intervento del Corridoio Unesco, inaugurato nel 2023, che collega in modo unitario il Capitolium e Santa Giulia. I cambiamenti sono stati tanti, dilazionati giustamente nel tempo, perché si è trattato di lavori infrastrutturali molto complessi, tutti realizzati in forte sintonia e collaborazione con la Soprintendenza.

  • La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
    La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
  • La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
    La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
  • La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
    La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
  • La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
    La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
  • La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
    La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
  • La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
    La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
  • La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
    La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
  • La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
    La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
  • La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
    La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
  • La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
    La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
  • La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium
    La visita dell'architetto Baldeweg al Capitolium

Quale è stata la risposta della città?

È sempre stata decisamente positiva. Inizialmente si registrava quasi una risposta di sorpresa, perché certi luoghi erano stati cantieri per anni e non era mai stato possibile accedervi. Via via, si è visto come nei bresciani sia cresciuto l’orgoglio per un patrimonio così importante, la cui qualità è stata riconosciuta dalla stampa e dal numero di turisti che va sempre crescendo. Anche l’iscrizione dell’Unesco è stata una grande svolta perché la consapevolezza di essere Patrimonio Mondiale ha chiaramente un significato molto forte. È stato anche un po’ come tornare alle origini: infatti i primi musei cittadini si sono costituiti proprio intorno al patrimonio archeologico, con gli scavi dell’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti al Capitolium e l’apertura del primo Museo patrio nel 1830. Questa stagione così favorevole ha rimesso al centro della consapevolezza dei cittadini il valore delle proprie radici antiche. La città continua a dare risposte, in termini di presenze e di attenzione, condividendo suggerimenti e commenti con i canali più svariati. Ci sono inoltre cittadini illuminati, imprenditori e aziende che investono molto nella cultura, supportando le istituzioni nella sua valorizzazione.

E le collaborazioni più importanti?

In questi numerosi anni le occasioni di collaborazioni sono state tantissime, sia a livello personale che istituzionale. Sono stata entusiasta e onorata di collaborare con l’Opificio delle pietre dure di Firenze, un istituto di eccellenza che ho incrociato solo nell’ultima parte del mio percorso per il progetto della Vittoria Alata e, più di recente, per una delle teste in bronzo. È stata una collaborazione di altissima qualità professionale e scientifica. E poi tante altre, con le università e con altri istituti di ricerca, come per esempio le attività fatte sui grandi bronzi con alcuni istituti tedeschi. Anche il lavoro per l’Unesco è stato importante, anche perché mi ha formato e portato ad essere coinvolta come ispettrice di verifica per altri siti. Sono stata chiamata per Filippi in Grecia e per Afrodisia in Turchia. Mi sono quindi trovata dall’altra parte della cattedra e – se per i longobardi eravamo noi i giudicati – in queste occasioni ho potuto occuparmi io stessa dell’ispezione e della valutazione del dossier e del piano di gestione. È stata una collaborazione internazionale di grandissima importanza e per me molto formativa. E poi ovviamente ci sono le persone: l’architetto Juan Navarro Baldeweg, per esempio, è stata una figura di grande equilibrio e riferimento per tutto il lavoro sulla Vittoria Alata e non solo, ma sono stati tantissimi gli studiosi e i professionisti incontrati lungo il percorso.

Un momento che ricorda con emozione?

La visita del Presidente Sergio Mattarella, che ho potuto accompagnare in un tour privato di due ore tra Santa Giulia e l’area archeologica. Da turista si è goduto la visita con domande, curiosità e chiacchiere. Un ricordo per me indelebile.

La visita di Mattarella al Santa Giulia - © www.giornaledibrescia.it
La visita di Mattarella al Santa Giulia - © www.giornaledibrescia.it

Quale ruolo possono avere le nuove tecnologie nella valorizzazione del patrimonio archeologico?

Sono stata fin da subito affascinata dalle prospettive e dalle possibilità delle nuove tecnologie, tant’è che a Brescia siamo stati precoci nell’adottare la realtà aumentata già dieci anni fa, nella visita dell’area archeologica. L’entusiasmo iniziale è stato però governato da una maggior consapevolezza, via via che le abbiamo applicate. Ritengo che non vadano utilizzate sempre e comunque, ma che siano efficaci o meno in base agli obiettivi che ci si pone. È quindi importante conoscerle molto bene. Non si può rifiutarle o abbracciarle incondizionatamente, ma studiarle e confrontare altri casi in cui sono state applicate. Anche nel rinnovamento del 2023 della sezione dell’età romana per l’anno di Capitale italiana della Cultura le abbiamo molto utilizzate, proprio perché in quel contesto le abbiamo trovate opportune e adeguate.

Le spiace lasciare Brescia proprio adesso che sta per partire il progetto per la valorizzazione del Teatro Romano?

Sicuramente lasciare Brescia non è stata una scelta facile. È la città in cui sono nata e cresciuta e alla quale mi sono dedicata molto. Ma proprio perché mi sembra di aver raggiunto una certa maturità professionale volevo cimentarmi anche con un altro patrimonio. Quando è arrivato l’occasione di Verona mi è sembrato bello coglierla, anche perché vi ho vissuto per vent’anni e anche la mia tesi di specializzazione fu proprio sul Capitolium di Verona. Inoltre, da quattro anni vivo a Padova. Certo, non partecipare al progetto del Teatro romano un po’ mi dispiace, ma allo stesso tempo credo di andar via al momento giusto, perché il progetto deve ancora partire ed è bello che chi mi succederà nel ruolo di conservatrice o conservatorelo affronti fin dall’inizio e con una certa libertà, senza ereditare scelte che possano vincolarlo.

Il Teatro romano di Brescia - © www.giornaledibrescia.it
Il Teatro romano di Brescia - © www.giornaledibrescia.it

E quali sono i progetti futuri?

Nei miei programmi c’è comunque un Teatro romano, quello di Verona di cui mi sto occupando, insieme al museo annesso, all’Arena e al museo Maffeiano. Quindi c’è una certa continuità. Al momento sto cercando di familiarizzare non solo con il patrimonio ma anche con le istituzioni cittadine, la rete scientifica e dell’associazionismo. È tutto molto interessante perché sto conoscendo meglio la città, e questo mi servirà per tutti i progetti futuri. Alcuni stanno già entrando nel vivo, perché chiaramente in certi casi mi inserisco a lavori già avviati, come per esempio quelli che riguardano il percorso museale in Arena e altre aree archeologiche cittadine.

Con quale augurio saluta Brescia?

L’augurio per la città è quello di andare avanti così. Brescia è un caso esemplare per quanto riguarda la capacità di fare rete a livello urbano e di mantenere vivo l’interesse su determinati obiettivi e temi culturali. È importante che questa rete venga continuamente alimentata, senza che ci siano interruzioni, nel rispetto istituzionale reciproco e soprattutto nella capacità di interagire, perché la sinergia tra tutti dia i frutti che la città merita.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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