Cultura

Robecchi, un giallo senza omicidi per raccontare l’impoverimento della società

Alessandro Robecchi, a Brescia per Librixia, racconta di «Pesci piccoli» in una Milano incattivita dalla paura della povertà
  • SPETTACOLI BRESCIA LIBRIXIA 2024 SAN BARNABA ALESSANDRO ROBECCHI PESCI PICCOLI NELLA FOTO ALESSANDRO ROBECCHI 29/09/24 newreporter©favretto
    Alessandro Robecchi a Brescia per Librixia - Foto New Reporter Favretto © www.giornaledibrescia.it
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«Il personaggio non è il fine, è un mezzo, uno strumento per parlare di noi, del nostro mondo, della società e delle sue contraddizioni». Per un paio di minuti l’immaginazione gioca uno scherzo e sulle poltroncine azzurre del San Barnaba paiono accomodarsi l’avv. Angelo Della Morte accanto a Carlo Monterossi. I personaggi vestono a pennello i panni degli autori: lo stazzonato penalista del Carmine quelli del suo creatore, Nicola Fiorin, qui nelle vesti di intervistatore, e l’autore della televisione-spazzatura quelli di Alessandro Robecchi, giallista di punta della premiata scuderia Sellerio, ospite di spicco di Librixia. L’identificazione vale anche se Robecchi sostiene che non sarebbe amico di Monterossi semmai lo dovesse incontrare.

Bastano pochi cenni a Fiorin per stuzzicarlo, a cominciare dalla contro-narrazione su Milano. «Fino agli anni Settanta – spiega Robecchi – la città è stata raccontata in modo complesso e profondo, da autori del calibro di Gadda e Scerbanenco, Testori, Bianciardi, Fo, Beppe Viola e Enzo Iannacci. Poi, negli anni Ottanta, si sono avute due versioni: quella della Milano da bere, tutta pubblicità e potere, con Craxi e Berlusconi; e quella dei cinepanettoni con il milanese ricco e bauscia. Ora le due versioni si sono sposate in una narrazione che vorrebbe Milano come grande capitale, e nella quale sembra che tutti i milanesi vivano all’ombra del Bosco-verticale, si occupino di moda, design e finanza... Ma questa è una parte infinitesimale della città. E tutto il resto? Non farò il gioco di contrapporre il quadrilatero della moda al ghetto, che pure esiste, ma c’è una consistente cintura abitata da un ceto medio che ha paura di scivolare nella nuova povertà. E la città si è incattivita: poveri che indicano come nemici quelli più poveri di loro...». Già Manzoni - chiosa Fiorin citando l’esergo del libro - aveva scritto che «I poveri, ci vuol poco a farli comparir birboni».

Trama

Di poveri racconta «Pesci piccoli», il decimo romanzo che ha come protagonista Carlo Monterossi. Poveri che cercano di non affogare nella grande Milano: «Ci vogliono molti perdenti per alimentare il mito della città vincente». Spicca tra questi la figura di Teresa, donna delle pulizie, che ha come linea di galleggiamento gli 800 euro al mese. Per loro anche il minimo imprevisto può essere un problema insuperabile. E con Teresa quelli che ne condividono la sorte, e l’appartamento per reggere il costo dell’affitto. «Poi il Corriere della sera lo chiama co-housing, come se a dirla in inglese la fregatura diventasse più accettabile». Teresa ha preso corpo quando un giorno Robecchi «deportato dalla moglie al supermercato», ha trovato davanti una donna che chiedeva alla cassiera: «Si fermi a quaranta euro». Così nella borsa della spesa è entrato il tonno, ma non la crema per il viso. «Per me quella crema è diventata il simbolo dell’ingiustizia». Della povertà conosciamo i numeri, ce li elencano ogni anno Istat, Censis e Inps, ma non conosciamo le facce, i volti, le storie.

Davanti al mondo dei pesci piccoli si trova anche Carlo Monterossi, autore televisivo di grande successo e perennemente schifato dal dover trattare con Flora De Pisis, la regina della tivù dalla lacrima facile. Stavolta deve occuparsi di un crocifisso che si illumina e della marea di creduloni che si fanno imbrogliare. Su questo mondo televisivo, che conosce bene, Robecchi va pesante. Parla di «pornografia dei sentimenti», di «cinismo senza pudore». «Il problema non è Flora, ma il florismo che domina in Italia, la moltiplicazione delle trasmissioni di questo genere. Elevata età media e bassa scolarità. Non è un fenomeno che possiamo snobbare, questi programmi sono seguiti da quattro milioni e mezzo di spettatori, l’equivalente di un partito di maggioranza relativa...».

Sul confronto tra il mondo di Teresa e quello di Carlo Monterossi si gioca l’intera trama del romanzo. «Mi veniva più facile raccontarlo in forma d’inchiesta». Un giallo senza omicidio, perché – sottolinea Fiorin – «talmente potente è la narrazione che non serve il morto».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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