Pasini: «A Brescia racconto una donna in un mondo senza valori»

Carmen canta nel deserto, tra Orwell e Dune. Tra gli eventi più attesi della Festa dell’Opera, c’è una nuova produzione della Fondazione Teatro Grande, che andrà in scena in anteprima dopodomani, venerdì 6 giugno alle 20.30 e in replica sabato 7 alle 15.30 sul palcoscenico del massimo cittadino. Si tratta della «Tragédie de Carmen», una rivisitazione del progetto cinematografico e teatrale di Peter Brook, che negli anni Ottanta rilesse il capolavoro di Bizet spogliandolo dei riferimenti folcloristici e della dimensione spettacolare, per mettere al nudo la quintessenza del dramma della protagonista.
Il gruppo
Il lavoro è stato realizzato da un gruppo under 35, capitanato dal regista Alessandro Pasini. Carmen sarà Aoxue Zhu, Alfonso Zambuto vestirà i panni di don Josè, con la Micaela di Erika Tanaka, l’Escamillo di Alberto Comes, la Lillas Pastia di Eleonora Gambini e Matteo Prosperi come Zuniga/Garcia. I musicisti del Bazzini Consort saranno diretti da Aram Khacheh, le scene sono affidate a Francesca Donati, i costumi ad Antonio Spada e le luci a Oscar Frosio.
Un lavoro da «Noi»
Un lavoro di squadra, quindi. Perciò Pasini, per presentare lo spettacolo, usa il noi: «Abbiamo tenuto presente il contesto della Festa dell’Opera, un evento partecipato e diffuso, che non si rivolge solo agli esperti: il pubblico deve essere accompagnato ad una lettura comprensibile dello spettacolo. Per questo la nostra Tragédie si sviluppa con una narrazione lineare, nutrita da simboli semplici e potenti». Il punto di partenza è stato il lavoro di Peter Brook: «Si tratta di un riadattamento drammaturgico che avvicina l’opera alla dimensione della tragedia antica. Il tema centrale è l’ineluttabilità del fato: l’ouverture viene eliminata e sullo spettacolo si allunga subito l’ombra del tema delle carte, la “voce” del destino».
L’atmosfera
Come tradurre queste suggestioni sonore in narrazione scenica? «La musica suggerisce l’atmosfera» spiega Pasini. «Abbiamo ambientato l’opera nel deserto, un luogo dove la morte si respira nell’aria, dove la lotta per la sopravvivenza non si esaurisce mai. Qui domina un regime militare distopico, ispirato tanto a 1984 di Orwell quando a Dune di Herbert, che divide il mondo in due: l’élite che detiene le risorse – l’acqua, in particolare – e il popolo che ne è privo». La tragedia personale di Carmen si colora dunque di dramma sociale: «Il personaggio di Carmen è il nodo al centro di una rete che mette in connessione l’ambiente naturale e la dimensione sociale: il nostro deserto è povero di risorse, ma ancor peggio totalmente privo di valori umani» racconta Pasini.
E prosegue: «Già Peter Brook riprendeva elementi della novella originale di Prosper Mérimée, rimossi o attenuati nell’opera di Bizet. Don Josè è brutale non solo per gelosia, compie molti omicidi, ma la sua violenza è giustificata dalla società in cui vive: la morte di Carmen è quasi rituale, una sorte di esecuzione pubblica». In questa prospettiva, l’eroina tragica non è soltanto una vittima, ma una testimone di libertà. Conclude Pasini: «Carmen rappresenta la lotta, il confronto finale avviene su un ring: la sua sconfitta personale non toglie nulla a ciò per cui combatte e anzi rende la sua voce più forte. Credo che in questa richiesta di giustizia sociale le giovani generazioni in particolare potranno riconoscersi». La partecipazione è libera.
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