Cucina

I capelli d'angelo di Galetti a Singapore sono da stella Michelin

Lo chef bresciano da 28 anni vive e lavora all'estero. In Malesia la consacrazione nel mondo delle eccellenze gastronomiche
Roberto Galetti - Foto © www.giornaledibrescia.it
Roberto Galetti - Foto © www.giornaledibrescia.it
AA

In un angolo di Singapore illuminato da una stella (Michelin) si possono gustare capelli d’angelo serviti freddi con caviale, ricci di mare e ostriche, ma anche ossobuco, amatriciana e orecchia d’elefante. Tutti piatti firmati dal «Garibaldi» della cucina italiana in Asia: lo chef bresciano Roberto Galetti, 49 anni, dei quali 28 trascorsi all’estero non senza sentire la nostalgia di casa.

Originario di via Volta, Roberto ha sempre saputo che spaghetti, comande e gamberoni sarebbero stati... il suo pane: «A quattordici anni - ci racconta -, con grande sorpresa per mia mamma, ero già convinto che avrei fatto il cuoco». Così ha frequentato l’alberghiero a Desenzano e ha iniziato a lavorare alla Ca’ Noa di Brescia e al Villa Cortine di Sirmione («Cinque stelle nel quale torno volentieri da cliente»). Una delusione d’amore l’ha spinto ad acquistare, insieme a quattro ex compagni di classe, un biglietto aereo di sola andata per Londra.

L’ascesa di Roberto è iniziata nella «brigata bresciana» dell’Hyde Park Hotel (5 stelle) per proseguire tra Fiuggi, Salisburgo, Buenos Aires («come chef per tre anni del ristorante Bice in cui ho cucinato pure per i Rolling Stones») e il Four Seasons Hotel di Tokyo «come secondo chef: un’esperienza scioccante che mi ha dato una carica incredibile». Decisivi in quegli anni i consigli dell’amico chef Giacomo Gallina «che mi suggerì di accettare una proposta a Singapore». «Il Giappone - racconta - per uno chef è il Paese ideale: ingredienti sempre nuovi, pesci interessanti, stagionalità, rispetto per il cibo... ». Il richiamo di un 5 stelle del gruppo Bice l’ha però portato a fare i bagagli e a raggiungere la città-stato a sud della Malesia.

Un paio d’anni dopo, titubante di fronte a una possibile altra svolta, «accettai di farmi leggere la mano: un’anziana spagnola mi disse che avrei colto l’opportunità, sarei rimasto in gabbia per tre anni e poi avrei spiccato il volo». Così è stato e il primo giorno di primavera del 2003 è nato il «Garibaldi»: «Io sono il bresciano, il mio socio di allora era pugliese: abbiamo unito l’Italia nei sapori».

Il ristorante, sempre aperto («perché l’affitto - spiega - è caro: oggi pago 50mila euro al mese»), è diventato da subito un punto di riferimento: il tempio della buona cucina in cui, «soprattutto nei primi anni, si mangiavano piatti bresciani come polenta, casoncelli e manzo all’olio. Ora, affiancato in cucina dal cino-malese Chong e sul fronte marketing da Walter Visioli, 29enne di Manerba, propongo i classici italiani che gli stranieri si aspettano ("Gar-bonara", amatriciana, milanese... ), i capelli d’angelo da 100 dollari che sono il mio piatto-firma, oltre a prelibatezze con il caviale finlandese (il ristorante ne consuma 4 chili al mese, ndr) e il tartufo di Alba: in due mesi e mezzo ne facciamo arrivare 25-27 chili».

Roberto ha iniziato l’avventura del Garibaldi (del quale ora è titolare unico) con altri soci. Il gruppo, tra il 2003 e il 2011, è arrivato ad avere «fino a 900 dipendendenti e una ventina di locali a Singapore». Realtà come «Ricciotti» e «Menotti», ossia i figli del «Garibaldi», le cinque birrerie tedesche «Brotzeit» (diventate anche un franchising), il francese «Gunther’s», il «Gattopardo» e due pasticcerie. Ora lo chef non più parte del gruppo, si prende cura del suo «Garibaldi» (stella Michelin da tre anni); trascorre il tempo libero con la moglie cino-malese e la figlia (che ha quattro anni e parla tre lingue) e colleziona auto sportive e d’epoca (partecipando anche alla Mille Miglia nel 2018).

A Singapore la concorrenza è feroce («nel 2003 il Garibaldi era il 31° ristorante italiano, ora ce ne sono più di 600»), ma l’attività va a gonfie vele. L’Italia resta nel suo cuore, al punto che non nega di voler investire nel nostro Paese. Magari sul Garda?.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia