Tirocinio in cella per i futuri magistrati: «Conoscere per giudicare»
Alcuni giorni e soprattutto alcune notti (quindici per la precisione) da passare in carcere. Un’esperienza formativa per il magistrato tirocinante. Una provocazione pensata quarant’anni fa da Leonardo Sciascia, che un domani potrebbe diventare una legge per tutti coloro che vorranno diventare pubblici ministeri o giudici e saranno chiamati a chiedere o ad irrogare pene.
Un gruppo trasversale di parlamentari guidati da Benedetto Della Vedova (+Europa), tra i quali figurano anche Mulé, Serracchiani, Enrico Costa, Bonelli, Lupi, Boschi, Carfagna e Madia, a settembre del 2024 ha presentato una proposta di modifica alle procedure di ammissione e tirocinio dei magistrati ordinari. Un disegno che tutti chiamano «legge Sciascia-Tortora» volta ad un’amministrazione della legge più umana e consapevole. Due gli articoli. Il primo prevede il tirocinio in carcere, con tanto di pernotto. Il secondo introduce la letteratura dedicata al ruolo della giustizia come materia di studio.
Dell’iniziativa hanno discusso qualificati operatori del diritto, promotori dell’iniziativa e parlamentari nella sala polifunzionale del Palagiustizia.
Dopo i saluti di Simona Viola, presidente dell’associazione Amici di Leonardo Sciascia che ha dato impulso al disegno di legge e all’incontro, e del presidente dell’Ordine degli avvocati di Brescia Giovanni Rocchi, che ha ricordato gli impietosi numeri del sovraffollamento carcerario bresciano e chiesto cosa ne è stato del progetto di chiusura di Canton Mombello e di ristrutturazione di Verziano, ha preso la parola il prof. Luciano Eusebi, ordinario di diritto penale in Cattolica a Milano.
«Il problema - ha esordito - è che continuiamo a identificare la pena con il carcere. C’è una visione ritorsiva della giustizia che nulla ha a che vedere con l’equivoca immagine della bilancia. La via - ha indicato il prof. Eusebi - è quella della sanzione prescrittiva, che impegna il condannato a fare qualcosa per la società, penso ad esempio a costringere chi ha inquinato a bonificare, che lo realizza come interlocutore e che restituisce anche qualcosa alla vittima».
Entrando nel merito della proposta di legge Eusebi lancia un messaggio alla politica. «Con molto garbo, senza spirito di parte, perché il problema purtroppo è bipartisan. Se devono essere i magistrati a conoscere lo strumento che applicano a maggior ragione devono essere i politici che lo impongono ai magistrati. L’aggravamento delle pene, la creazione di nuovi reati ha provocato un aumento della popolazione penitenziaria che non ha nessun rapporto con l’andamento della criminalità. Bisogna rivolgersi alla politica perché il diritto penale non sia più usato per ragioni di consenso elettorale».
Dubbi e opportunità
Francesca Ravagnani, docente di criminologia penitenziaria e garante dei detenuti di Brescia uscente, plaude all’iniziativa. «Trovo molto positivo che si parli di carcere e dell’introduzione del diritto penitenziario nelle materie di studio per il concorso in magistratura. Quanto alle notti in carcere per i futuri magistrati ho qualche perplessità: non avrebbero comunque modo di cogliere appieno le dinamiche che si creano quando i detenuti restano da soli con gli agenti di guardia». Introdurre la previsione di un tirocinio anche in cella per gli aspiranti magistrati per l’avv. Guido Camera, presidente di Italiastatodidirtto «non è una punizione nei loro confronti, ma un’opportunità. Se l’approccio resta formalistico non si fa giustizia: non capisco perché ci siano chiusure da parte della magistratura».
La proposta di legge, secondo l’avvocato Andrea Cavaliere della giunta dell’Unione delle Camere penali, è una delle occasioni per iniziare a disinnescare il «corto circuito logico giuridico per cui un magistrato, consapevolmente, manda in carcere una persona sapendo che in quel carcere i suoi diritti non saranno garantiti. Quindi commette in modo consapevole un atto illecito. Un tema sul quale non possiamo non riflettere».
«Riflessione che - ha ammonito l’on. Della Vedova - non deve suonare assolutamente come ritorsione» e che per la senatrice Mariastella Gelmini, che ha assicurato il suo appoggio alla iniziativa, «va nella direzione di decisioni ancora più consapevoli da parte di chi deve decidere della vita delle persone». Sul ruolo della politica, in conclusione, è tornato il sen. Alfredo Bazoli. «Forse il ministro Nordio si è addormentato quando c’è stato il diluvio di nuovi reati, l’aggravamento delle pene. La situazione nella quale ci troviamo è colpa della politica, che asseconda la pancia di parte dell’opinione pubblica solo a scopi elettorali. Il diritto penale non sia utilizzato per dare risposte simboliche a problemi che meritano ben altre soluzioni».
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