Strage di piazza Loggia, testimone smonta l’alibi dell’imputato Zorzi

Non è provato, almeno per ora, che Roberto Zorzi fosse in piazza Loggia la mattina del 28 maggio 1974. Ma è molto probabile che quella mattina non si trovasse dove lo aveva piazzato il capitano Francesco Delfino, ovvero seduto ad un tavolino ad un’ottantina di chilometri dalla bomba che uccise otto persone e ne ferì altre 102.
Opposte certezze
A smentire l’annotazione di servizio che il comandante del nucleo investigativo girò ai magistrati, e a sbriciolare la credibilità residua dell’alibi del neofascista veronese ora a processo per la fase esecutiva dell’attentato, è stata ieri in aula la ragazzina di allora che allora, ma stando solo allo scritto di Delfino, avrebbe detto di aver visto Zorzi nel bar gestito dal padre alla stazione degli autobus di Porta San Giorgio a Verona, proprio mentre a Brescia si consumava la strage dei quali si conoscono i mandanti, ma, per ora, non gli esecutori materiali.
Le prime indagini
Al dottor Francesco Trovato, il primo pubblico ministero ad occuparsi di piazza Loggia, il 7 agosto di quell’anno Delfino scriveva quanto segue. «Nella mattinata del 29 (il giorno dopo la strage) il maresciallo Siddi di questo Nucleo veniva inviato a Verona per accertare l’eventuale presenza dello Zorzi in Brescia il giorno 28 maggio, al mattino. Lo Zorzi confermava al sottufficiale la esposizione resa qualche ora prima al brigadiere Alati.
Mentre Zorzi si trovava ancora in caserma, – si legge nell’annotazione del capitano dell’Arma processato per concorso in strage per aver depistato le indagini, assolto e deceduto poco dopo l’assoluzione – il maresciallo Siddi appurava che effettivamente lo stesso aveva sostato nel bar stazione di Porta San Giorgio di proprietà del sig. Elia Bellaro. La figlia di quest’ultimo, a nome Daniela, ricordava perfettamente che lo Zorzi si era fermato ad un tavolo del bar parlando con conoscenti e cioè certo Galvani Massimo da Sant’Ambrogio Valpolicella e con certo Claudio Antolini, che portava una folta barba, pure da Sant’Ambrogio. La signorina Daniela era certissima ed è apparsa sincera ed attendibile nonché disinteressata della presenza dello Zorzi sino ad oltre le ore 10 del mattino del 28 maggio».
Oggi
Oggi, 51 anni dopo la signorina Daniela è certissima del contrario. Alla lettura di quel documento da parte del pubblico ministero Caty Bressanelli, la figlia del titolare del bar cui era legato l’alibi del Marcantonio, che dalla Valpolicella è emigrato negli Usa per allevare dobermann, ha replicato con fermezza. «I carabinieri vennero da noi, questo è vero, ma parlarono con mio padre, non con me. Si fermarono poco, due, tre minuti: può essere che in quei frangenti mio papà mi abbia rivolto delle domande per conto loro, e mi abbia chiesto se avessi visto qualcuno. In ogni caso una cosa è certa: io non mai avuto un filarino con Roberto Zorzi, non lo conosco, non l’ho mai visto e quella mattina non era al bar».
In cerca di conferme
Che ci fosse non hanno potuto dirlo nemmeno le due persone citate da Delfino: il Massimo Galvani trovato e portato ieri in aula ha assicurato di non aver mai frequentato quel locale e tanto meno di aver conosciuto Zorzi, mentre il Claudio Antolini ieri non si è presentato in aula. Che l’imputato frequentasse il bar degli autobus di Porta San Giorgio, almeno con certezza, non è riuscito a dire nemmeno Luigi Galvani rappresentante di commercio con un passato nel Movimento Sociale, che ha conosciuto l’imputato e detto di essere stato con lui ai tavolini di quel locale, di aver incontrato con lui proprio Antolini, ma non si ricorda in che circostanza e soprattutto quando.
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