Scontro Trump-Putin sul petrolio, Cina taglia i flussi

«Le sanzioni sono un atto ostile» ha tuonato il leader del Cremlino, descrivendole come «un tentativo di mettere pressione su Mosca»
Lo storico incontro in Alaska tra Putin e Trump - Ansa © www.giornaledibrescia.it
Lo storico incontro in Alaska tra Putin e Trump - Ansa © www.giornaledibrescia.it
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I sorrisi e le strette di mano dell'Alaska sono un ricordo ormai lontano. Fra Vladimir Putin e Donald Trump è scoppiata la guerra del petrolio, i cui effetti si spingono ben al di là di uno scontro solo fra Mosca e Washington.

Le sanzioni americane a Lukoil e Rosneft hanno infatti spinto la Cina - secondo quanto riporta Reuters - a sospendere gli acquisti di petrolio russo, mettendo così alla prova quell'«amicizia senza limiti» fra Putin e Xi Jinping. E rischiano di mettere all'angolo anche l'India, pronta a sua volta a fermare i flussi dalla Russia. «Le sanzioni sono un atto ostile», ha tuonato il leader del Cremlino, descrivendole come «un tentativo di mettere pressione su Mosca, ma nessun Paese che abbia rispetto di se stesso fa mai niente sotto pressione».

Ostentando sicurezza, Putin ha quindi aggiunto: «la stretta non avrà impatto sull'economia russa». Una previsione che lascia scettici gli osservatori. Rosneft e Lukoil infatti rappresentano complessivamente la metà degli oltre 4 milioni di barili al giorno di greggio esportati dalla Russia e destinati per lo più ai mercati asiatici da quando l'occidente ha imposto un tetto massimo di prezzo di 60 dollari alla fine del 2022.

La Cina e l'India sono i due maggiori acquirenti del greggio russo: solo in settembre hanno importato rispettivamente due milioni e 1,6 milioni di barili al giorno. Un loro stop agli acquisti, anche se temporaneo, infliggerebbe quindi un duro colpo a Mosca e alla sua capacità di finanziare la guerra in Ucraina.

Dopo l'annuncio delle sanzioni di Trump, i colossi statali del petrolio cinesi - PetroChina, Sinopec, Cnooc e Zhenhua Oil - hanno sospeso gli acquisti di greggio russo trasportato via mare almeno nel breve termine. Una misura analoga potrebbe essere decisa, riporta Reuters, anche dalle raffinerie indipendenti cinesi per valutare l'impatto della stretta americana, in base alla quale chi farà affari con i giganti russi rischia di essere escluso dal sistema dei pagamenti occidentale.

Per l'economia cinese la sospensione dei flussi potrebbe infliggere un nuovo colpo a un'economia già in difficoltà e che rischia un'ulteriore stangata americana nel caso in cui non sia raggiunto un accordo sulle terre rare. Il segretario al Tesoro Scott Bessent e il vicepremier He Lifeng si incontreranno a breve in Malesia per cercare un'intesa che eviti l'entrata in vigore degli ulteriori dazi del 100% minacciati da Trump, e provare a spianare la strada a un faccia a faccia fra il presidente americano e quello cinese in Corea del Sud a fine mese. È probabile che le sanzioni americane, pur non trattandosi di tariffe secondarie, sul petrolio russo siano uno dei temi in agenda.

L’India

Anche l'India è pronta a fermare i flussi del petrolio russo. Le sanzioni infatti sono destinate a colpire direttamente alcune raffinerie che hanno rapporti diretti con Rosneft. Uno stop faciliterebbe il raggiungimento di un accordo commerciale fra Stati Uniti e India, da tempo nel mirino di Trump che senza mezzi termini l'ha accusata di finanziare la guerra in Ucraina.

Una riduzione o uno stop degli acquisti di petrolio russo da parte di Cina e India si potrebbe tradurre in un riequilibrio del mercato del greggio mondiale. Pechino e New Delhi infatti dovrebbero guardare agli Stati Uniti e all'Opec per le loro forniture. Il cartello dei paesi produttori si è detto pronto a intervenire in caso di carenze, rassicurando così il mercato e contribuendo a limitare il balzo delle quotazioni del greggio, arrivato a guadagnare oltre il 6%. Un rialzo consistente ma che può essere gestito senza causare, è la speranza, un'impennata dei prezzi dell'energia e quindi dell'inflazione. Un aumento della domanda all'interno dell'Opec favorirebbe soprattutto l'Arabia Saudita, il paese con le maggiori capacità e grande alleato americano in Medio Oriente in procinto di entrare a far parte in quegli Accordi di Abramo che Trump spinge con forza

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