Comitato per il «No»: «Riforma Nordio mina l’indipendenza dei giudici»

Non accorcerà i tempi dei processi né renderà la giustizia più efficiente. Anzi, rischia di fare l’esatto contrario. È una critica netta quella che arriva dal neonato «Comitato giusto dire No», presentato al Caffè della Stampa di piazza Loggia, in vista del referendum sulla riforma della giustizia annunciato per la prossima primavera.
Nel comitato
A dirlo senza giri di parole è Andrea Gaboardi, presidente della Giunta esecutiva sezionale di Brescia dell’Associazione nazionale magistrati: «Questa riforma viene spesso raccontata come un intervento per migliorare l’efficienza del sistema giudiziario. Nulla di più falso. Lo ha ammesso lo stesso ministro Carlo Nordio». Ma, chiarisce Gaboardi, c’è molto altro da aggiungere. E molto altro da spiegare ai cittadini.
Con lui, nel Comitato, ci sono Marco Ladu, professore di diritto costituzionale e pubblico all’Università eCampus, e Ilaria Sanesi, giudice della Corte d’appello di Brescia. Un gruppo che rivendica con forza la propria natura non politica. «Non siamo un soggetto politico – sottolinea Gaboardi – ma vogliamo portare nel dibattito pubblico la voce dei magistrati, per sensibilizzare sui gravi rischi che questa riforma comporta».
«I rischi della riforma»
Il rischio principale, secondo il presidente dell’Anm bresciana, è quello di «attrarre il pubblico ministero e soprattutto il giudice sotto il controllo del potere politico», con conseguenze dirette sui diritti fondamentali. A pagarne il prezzo più alto, avverte, sarebbero i soggetti più deboli: «Chi si oppone alla maggioranza di turno, i lavoratori nei confronti dei datori di lavoro più forti, i migranti che chiedono protezione e che rischiano respingimenti o espulsioni».
Nel merito tecnico della riforma entra Marco Ladu. Il giudizio è severo: «Il progetto Nordio non risolve i veri problemi della giustizia. Al contrario, rischia di rallentare ulteriormente il sistema». Le criticità, per il professore, sono altrove: durata dei processi, carenza di organici, digitalizzazione insufficiente, strutture informatiche inadeguate. «La riforma promette di risolvere problemi che esistono solo nella propaganda».
«Falsi problemi»
Anche uno dei temi più citati, quello delle cosiddette “porte girevoli” tra magistratura requirente e giudicante, viene ridimensionato: «A cambiare funzione è appena lo 0,4% dei magistrati». E non regge nemmeno, secondo Ladu, l’idea di una contiguità tra giudici e pubblici ministeri che comprometterebbe il giusto processo: «Il 40% delle sentenze si conclude con un’assoluzione. È la prova che i giudici non si appiattiscono sulle richieste delle procure».
Ilaria Sanesi chiude l’incontro con un appello che definisce «bipartisan»: andare a votare. «Non c’è quorum – ricorda – e non si può lasciare che a decidere su un tema così delicato sia una minoranza». Dietro questioni che appaiono tecniche, avverte, «si nasconde un profondo stravolgimento dell’assetto costituzionale».
«Rischio concreto»
Minare l’indipendenza della magistratura, ad esempio attraverso un Csm o una Corte disciplinare con una forte componente laica di nomina governativa, significa secondo il giudice «mettere i magistrati in una posizione di subalternità e di paura rispetto alla politica». E le conseguenze ricadrebbero sui cittadini: «Un giudice che ha paura di procedimenti disciplinari o di pressioni politiche non è un giudice migliore. È un giudice che, prima o poi, darà ragione al più forte».
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