Perché le elezioni rinviate e la crisi in Senegal interessano anche Brescia

Il rinvio delle elezioni presidenziali ha fatto precipitare il Senegal in una grave crisi politica e sociale che vede come osservatori speciali le migliaia di senegalesi residenti in provincia di Brescia. Circa settemila quelli che ancora hanno solo la cittadinanza del Paese africano. Ben oltre diecimila quelli che hanno la cittadinanza italiana.
La Corte Costituzionale ha dichiarato nulla – perché contraria alla Costituzione – la legge che rinviava le elezioni presidenziali al 15 dicembre 2024. Rimane l’incertezza sulla data del voto anche se l’attuale presidente Macky Sall ha affermato: «Non vorrei essere oggetto di una polemica sterile rispetto ad ambizioni che non sono mie. Il 2 aprile 2024 si conclude la mia missione come capo del Senegal. Vorrei che questo dibattito fosse risolto in modo chiaro».
Cosa dicono i senegalesi a Brescia
Sugli sviluppi è ottimista il bresciano Moustapha Fall, storico sindacalista della Cisl, emigrato dal Senegal ventotto anni fa e con in tasca la cittadinanza italiana. Lo sono altri senegalesi di origine, come Moctar e Thiam che riescono facilmente a telefonare alle famiglie che vivono in Senegal e ricordano che «la sospensione di internet avviene per motivi di sicurezza solo nel periodo in cui ci sono manifestazioni, poi i collegamenti vengono ripristinati». Fall invita tutti a prestare attenzione a quello che accade nel paese africano: «Gli eventi di laggiù possono avere una ricaduta anche sull’Italia, perché se salta in Senegal sarà inevitabile un’emigrazione di massa, tenuto conto dei forti legami che si sono creati tra le diverse comunità».
Continua: «In Africa vivono mia madre, che ha 93 anni, e parte della mia famiglia: sono preoccupati, ma siamo un popolo forte. Ci sono i capi religiosi che sono molto ascoltati e che invitano alla calma. Per fortuna, direi, perché non dimentichiamo che il Senegal è la porta dell’Africa nera e rappresenta un punto strategico anche per gli jihadisti. Serve fissare al più presto la data delle elezioni e riconciliare il Paese. Sono certo che accadrà». E cita Léopold Sédar Senghor, politico e poeta senegalese, presidente dal 1960 al 1980, tra i fondatori dell’Africa moderna, uno dei padri della negritudine che ha dato libertà al suo paese d’origine e ha offerto all’Africa intera una nuova visione «liberatrice» di sé, attraverso la riscoperta e la riappropriazione delle proprie radici culturali.
Per Moctar Diop di Lumezzane «la situazione è tranquilla, poteva essere peggio». Preoccupazione maggiore nelle parole di Thiam El Hadji: «Sia chiaro: dopo il 2 aprile Sall non sarà più il nostro presidente». Si mantengono informati in tempo reale sull’evoluzione degli eventi: «Il Senegal è ricco, ma la ricchezza rischia di dividerci. Meglio poveri e in pace».
Cosa succede in Senegal
Il Senegal dopo un periodo di forte tensione ora attende la data delle elezioni presidenziali che sarà stabilita dopo la convocazione del dialogo nazionale di pacificazione. Dopo che considerando illegale un rinvio di dieci mesi, il Consiglio costituzionale del Senegal, massima autorità elettorale, ha annullato il decreto del presidente Macky Sall che posticipava il voto al 25 febbraio 2025, quest’ultimo sembra essere sceso a miti consigli. Probabilmente anche perché si è ritrovato isolato, contestato dall’Ecowas dall’Ue, dagli Usa e dalla diaspora senegalese. Considerato dalla comunità internazionale alla stregua dei golpisti del Sahel.

Ma Sall è isolato anche internamente, perché sembrano non essere dalla sua parte neppure i leader della Muridiyya e della Tijaniyya, le due confraternite islamiche più diffuse nel Paese, molto influenti nella vita politica. Si vocifera che nessun uomo politico, deputato o presidente, possa essere eletto senza il loro riconoscimento.
La decisione di Sall di rinviare le elezioni previste per fine anno non è piaciuta né all’opposizione, né alla popolazione, orgogliosa della propria Costituzione, soprattutto là dove afferma che «la sovranità nazionale appartiene al popolo senegalese che la esercita attraverso i suoi rappresentanti, o per via referendaria».
Le controversie sulla formazione della lista finale dei candidati presidenziali addotte da Sall per motivare il rinvio, da più parti sono state ritenute una scusa. Guarda caso, da questa lista erano – e sono ancora – esclusi alcuni candidati, tra cui Ousmane Sonko, leader del partito all’opposizione Pastef (sciolto dalle autorità), in prigione dal 2021 con accuse poco chiare. Insomma, anche Sall ha dimostrato di non voler lasciare il potere nel termine stabilito, ad aprile, un comportamento comune a molti leader africani.
L’Africa detiene il primato dei presidenti più longevi. Spesso le Costituzioni non prevedono un tetto di mandato e, anche quando lo prevedono, chi sale al potere, si premura di estenderlo a proprio favore. Yoweri Museveni, presidente dell’Uganda, è al sesto mandato, governa dal 1986.
Il Senegal, però, è un Paese diverso, almeno lo è stato finora. Dal 1963, quando dopo l’indipendenza dalla Francia, venne eletto primo presidente Léopold Senghor, in quella che è definita dall’ordinamento come una Repubblica democratica semipresidenziale e multipartitica, si è sempre verificata una successione al potere pacifica, con elezioni libere e trasparenti. Ecco perché la decisione del presidente è stata bollata come «un colpo di Stato», e ha portato la gente in piazza, furiosa anche perché quando Sall andò al potere nel 2012, si era presentato come un innovatore, pluralista, aperto alla vivacità del dibattito politico. Invece, il dissenso è stato represso con la forza, come avviene nelle autocrazie.
I manifestanti sono stati respinti con i gas lacrimogeni, una quindicina le vittime. Ma il pugno duro le forze di sicurezza lo avevano già utilizzato, il 5 febbraio, in Parlamento, rimuovendo i deputati che si opponevano all’approvazione del disegno di legge (passato con 105 voti su 165) che legittima il rinvio del voto.
C’è un altro fattore che non va sottovalutato. Una decina di anni fa, circa, al largo delle coste del Senegal, sono stati trovati giacimenti di gas e petrolio. Questo ha spinto l’economia del Paese, prima basata solo sull’esportazione di arachidi. Facile pensare che Sall voglia essere della partita.
Germani: «Non siamo preoccupati, il Paese è stabile»
Anche il mondo economico non può che guardare con interesse all’evolversi delle vicende politiche senegalesi, in special modo chi nel Paese africano ha investito con convinzione. È questo il caso dell’azienda di trasporti bresciana Germani, che a Diass, a 40 chilometri dalla capitale Dakar, a fine ottobre ha inaugurato il proprio polo logistico all’interno di un’area economica speciale e alla presenza proprio del presidente della Repubblica Macky Sall.

«La situazione non ci preoccupa - chiarisce subito Andrea Ferrari, responsabile di Germani West Africa -, perché il Senegal è uno stato che nel tempo ha dimostrato solidità, non avendo mai avuto stravolgimenti politici o colpi di Stato». Anche le proteste giunte nei mesi scorsi nel Vecchio Continente «qui non sono durate che mezza giornata - evidenzia -. Certamente la situazione non è totalmente nella normalità, con i ritmi di lavoro e dell’Amministrazione pubblica che risentono delle imminenti elezioni».
Secondo Ferrari, che vive stabilmente nel Paese, «la negoziazione, anche con le importanti componenti religiose della società, è un tratto caratteristico della politica senegalese, un elemento che garantisce stabilità». Imperativo secondo l’imprenditore bresciano è però «che il Senegal non si fermi, che continui ad intraprendere la strada dello sviluppo. Serve continuità, così come cruciale risulta il non smettere di aprirsi a investitori esteri». Per Ferrari infatti «questo è l’unico modo per proseguire lungo il percorso intrapreso, sapendo che una certa forma di dipendenza dalla Francia (del quale il Senegal era colonia ndr) non verrà mai meno».
L’investimento della Germani poggia perciò proprio sulla stabilità del Paese, sul futuro, «ci rivolgiamo in modo specifico alle nuove generazioni di cittadini senegalesi», e su una precisa scelta politico-economica messa in campo dal governo di Dakar. Questo negli anni passati ha infatti istituito le zone economiche speciali, aree pensate per dare un’accelerata all’economia locale attraendo investitori esteri tramite facilitazioni fiscali e burocratiche. «Noi stiamo andando avanti con i nostri obiettivi - conclude Andrea Ferrari -, e siamo più che mai convinti della nostra scelta».
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