Padre Giulio Bevilacqua, il cardinal parroco vicino ai sofferenti

Padre Tiziano Sterli
Sessant’anni fa la scomparsa di un’eminente figura del clero bresciano. Domani il vescovo Tremolada celebrerà una messa in suo suffragio nella chiesa della Pace
Padre Giulio Bevilacqua in una foto d'archivio - © www.giornaledibrescia.it
Padre Giulio Bevilacqua in una foto d'archivio - © www.giornaledibrescia.it
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Il 6 maggio del 1965 moriva il cardinale Giulio Bevilacqua. Nel sessantesimo anniversario della scomparsa, il vescovo di Brescia, mons. Pierantonio Tremolada, celebrerà una santa messa di suffragio domani (sabato 3 maggio) alle 19 nella chiesa della Pace, in città.

La sera del 6 maggio 1965, mentre i suoi parrocchiani erano riuniti in chiesa per recitare per lui il santo Rosario, moriva nella sua parrocchia di Sant’Antonio, in città, padre Giulio Bevilacqua, grande figura del clero bresciano e della Congregazione della Pace. A sessant’anni di distanza è opportuno ricordarlo, tracciando i tratti salienti della sua biografia. Nasce a Isola della Scala (Verona) il 14 settembre 1881 da una famiglia originaria del Trentino, nel 1889 si trasferisce a Verona dove frequenta il ginnasio-liceo «Scipione Maffei». Studente esuberante ed irrequieto, per un «buffo equivoco» il padre lo invia presso l’alunnato dei Padri della Pace, scambiato per un normale collegio, ma che in realtà era un piccolo seminario, dove rimane conquistato dallo stile di padre Antonio Cottinelli e padre Luigi Carli, ai quali dovrà la sua vocazione. Nel 1902 si iscrive all’Università di Lovanio, in Belgio, dove, ha l’opportunità di ascoltare gli insegnamenti del card. Mercier, pastore attento ai problemi sociali. Frequenta il corso di Laurea in Scienze Politiche e Sociali, più concretamente studia il problema dei lavoratori italiani immigrati in Belgio e la sua tesi verterà sullo studio della legislazione operaia italiana. Tornato in Italia, chiede di essere accolto alla Pace: frequenta i corsi teologici in seminario e il 13 giugno 1908 viene ordinato sacerdote. Da quel momento tutti i suoi sforzi pastorali, convergono in un’unica direzione: portare Cristo all’uomo affinché, attraverso il Cristo, l’uomo accresca la sua dignità.

Ben presto la sua opera pastorale verrà segnata dalla guerra. La sua prima convinzione riguardo all’evento è particolare: «Né zeloti della guerra, né zeloti per la pace: dobbiamo rifiutare sì la guerra perché è anticristiana, ma non possiamo neanche accettare una pace ad ogni costo (...) La guerra può illuminarci di amore se combattuta per impedire la vittoria dell’ingiustizia, del disprezzo di ogni legge dell’umanità, se non ci si estranea dalla lotta, se non si spegne la pietà, se si accetta la tragedia come espiazione, se la stessa vittoria sarà non motivo di gloria, ma di pianto». Nel novembre 1916, grazie alla laurea conseguita, può frequentare il corso ufficiali così da poter partecipare al conflitto come ufficiale volontario degli Alpini, dato che non gli era stato concesso di andarvi come cappellano. Il suo unico desiderio è di portare luce nelle tenebre, speranza nella disperazione, presenza di Cristo là dove c’è l’uomo. Prima di partire però, il 14 gennaio 1917, all’altare fa promessa di non compiere mai atti di odio, ma solo di misericordia. Perciò, chiede di non portare armi. I superiori, comprensivi, gli assegnano l’incarico di ufficiale di collegamento, di fatto lasciandolo operare come sacerdote. L’esperienza militare, che lo vede meritevole di due Medaglie di bronzo al lavoro, termina in un campo di concentramento, prima ad Hart e poi nel castello di Horowice in Boemia. Anche in tale circostanza sa essere sostegno e guida dei compagni di prigionia intrattenendoli in profonde conversazioni spirituali, poi raccolte nel libro «La luce nelle tenebre».

Padre Bevilacqua celebra messa alla prima Adunata del 1920 - © www.giornaledibrescia.it
Padre Bevilacqua celebra messa alla prima Adunata del 1920 - © www.giornaledibrescia.it

Ritornato a Brescia si impegna nella catechesi, nell’opera di evangelizzazione e si appassiona di liturgia. Si interessa anche di politica, entrando in acerrima polemica con Turati tanto che gli squadristi fascisti per tre volte assaltarono la Pace (novembre 1926) con l’intento di catturarlo. Il Papa Pio XI lo toglie dalla mischia chiamandolo a Roma come Consultore della Congregazione dei Religiosi. In questi anni romani abitò a lungo presso la casa di mons. Montini, col quale aveva intessuto una profonda amicizia fin da quando il giovane Giovanni Battista frequentava l’Oratorio della Pace, partecipando assiduamente alle catechesi tenute dal padre. Nel 1932 torna a Brescia continuando il suo intenso ministero sacerdotale fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Il 31 maggio 1940, nonostante l’approssimarsi dei 60 anni, fa richiesta all'Ordinario militare di poter essere impiegato ancora come cappellano degli Alpini. Il 15 luglio 1940 viene invece assegnato alla Marina, senza però essergli consentito di imbarcarsi su navi da combattimento. Viene inviato sulla nave ospedale «Arno», dove assiste i militari in fatti drammatici, sotto bombardamenti pesanti, meritandosi la terza Medaglia di bronzo al valor militare.

A seguito di numerose richieste dei confratelli, del Vescovo di Brescia e, in particolare, di mons. Montini, dal 14 settembre 1941 al 13 agosto 1942 viene messo a terra ed inviato al Comando Marina di Palermo, dove però si sente profondamente a disagio: «Quando il sacerdote non condivide il rischio di tutti i suoi figli, non può parlare ad altri di abbandono in Dio, di Fede, di spirito di sacrificio» e, in calce ad una relazione sull’attività svolta, inviata all’Ordinario Militare, così si firma: «Cappellano della Marina imboscato in Palermo, chiede immediato imbarco». Richiesta in parte esaudita: dapprima viene impiegato sulla «Andrea Doria» e poi inviato a Colle Isarco al Distaccamento dell’Accademia Navale. «Io mi imbarco, sapendo che questo è il mio solo e logico dovere... Sacerdozio che si inabissa nell’acqua salata per opera del nemico? Mai i sacerdoti si sono inabissati sul calvario umano, ma solo nei comodi stalli creati dall’orgoglio, dall’egoismo e dal sofisma umano». Come cappellano della Marina, viene colto dall’Armistizio dell’8 settembre a Venezia e riceve l’ordine di scendere l’Adriatico con i Cadetti dell’Accademia. La nave ferma a Brindisi, già occupata dagli alleati, e lì il 14 ottobre, presso il Collegio navale celebra la Messa alla presenza di Vittorio Emanuele III e della regina che avevano lasciato Roma: l’omelia è singolare, incentrata sul tema «Beati quelli che piangono». Sbalordendo i presenti, padre Bevilacqua chiede a ciascuno il coraggio di assumere le proprie responsabilità per quanto avvenuto ed indica al re la via dell’esilio ricordando che è il Signore che innalza gli umili e abbassa i potenti, che elargisce e toglie i doni di questa terra.

Al re ricorda ancora che la corona che ha valore davanti a Dio è solo quella di spine: «Ti è stata posta sul capo una corona di spine e per questo sei vicino al tuo popolo». Questa capacità di fare della sofferenza e della prova un’occasione di redenzione e riscatto è una costante della predicazione di padre Bevilacqua: lo diceva al re, come lo aveva già detto ai suoi soldati, alla sua gente e, sempre, lo ricorderà a se stesso. Uno dei militari presenti ricorda «il volto rugoso e impenetrabile del re, ma soprattutto l’espressione di stupefatta meraviglia del principe Umberto, sorpreso di come un umile prete, un tenente cappellano, osasse profferire quelle parole dirette chiaramente a chi allora era il più alto rappresentante dei valori della Patria, cosa che in 43 anni di regno nessuno aveva mai osato fare pubblicamente».

Non vedendo esaudito il desiderio di essere imbarcato, si congeda e ritorna a Brescia perché anche lì «c’è tutto un mondo da riedificare». Partecipa a tutte le vicende cittadine e nazionali, mai però direttamente nella politica. Continua la sua feconda attività di scrittore e nel 1946 è tra i fondatori della rivista Humanitas. Nel 1949 chiede di essere parroco a Sant’Antonio, in via Chiusure, l’ultima e la più povera delle parrocchie cittadine: «Sono stato sempre rettore di una chiesa di ricchi, lasciate che finisca miei giorni in una chiesa di poveri». Nonostante la sua intensa opera pastorale è, da più parti, richiesto come predicatore e partecipa nel 1957 alla grande Missione di Milano voluta dall’arcivescovo Montini. In tutti i suoi scritti e specialmente nella sua predicazione si nota già un fermento di idee che, pienamente, si esprimeranno nel Concilio Vaticano II al quale viene chiamato a partecipare attivamente. In particolare, gli viene richiesto uno specifico contributo, come Consultore, per il rinnovamento della Liturgia.

Padre Bevilacqua con Montini, futuro papa Paolo VI - © www.giornaledibrescia.it
Padre Bevilacqua con Montini, futuro papa Paolo VI - © www.giornaledibrescia.it

A Giovanni XXIII succede Paolo VI. All’inizio del 1965, il Papa riesce a vincere le sue numerose resistenze e lo crea cardinale assecondando però due richieste: rimanere parroco a Sant’Antonio e continuare a vestire la veste filippina. Quasi a volersi giustificare, Paolo VI dice: «È un nepotismo rovesciato, perché non è lo zio che incorona il nipote, ma il nipote che incorona lo zio». Siamo agli ultimi mesi della sua vita. Durante il solenne pontificale celebrato nel Duomo di Brescia dopo la sua consacrazione episcopale avvenuta il 15 febbraio, commentando il brano del Vangelo del cieco nato padre Bevilacqua si domanda: «Un cardinale che cosa è? È un cieco che domanda a Dio in nome degli altri ciechi, di vedere. Noi siamo tutti ciechi e la luce la domando a Cristo, soltanto a Cristo, umilmente, da povero uomo. La porpora è dignità, ma la dignità non è mai separata dall’autorità e l’autorità non deve mai essere separata dalla responsabilità, e questa mai separata dal servizio. E il servizio cos’è? È la carità. E il Cristo oggi all’altare mi dice: non illuderti perché sei vestito di rosso invece che di nero, non illuderti perché hai una mitria invece dell’amato basco. Tutta la vita diventa una menzogna, se non capirai la carità».

Padre Tiziano Sterli – Preposito della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri 

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