Cronaca

Nessuno pagherà per la morte di Giulia Minola alla LoveParade

Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo dice no alla mamma della ragazza che perse la vita nella calca a Duisburg: «Devo arrendermi, non ho più alternative»
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Nessuno pagherà per la morte di Giulia
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L’ultimo «no», quello senza appello, quello definitivo. A pronunciarlo, oscurando anche l’ultimo spiraglio di giustizia per la morte di Giulia Minola e spegnendo le speranze di sua mamma Nadia, è stata la Corte europea dei diritti dell’uomo.

Il «no» da Bruxelles

Nello scorso mese di maggio i giudici di Bruxelles hanno respinto il ricorso della madre della studentessa bresciana uccisa dalla calca della LoveParade di Duisburg contro l’archiviazione degli imputati finiti a processo per i fatti di quel terribile pomeriggio del luglio di 14 anni fa, e di fatto hanno azzerato le possibilità di accertare responsabili e responsabilità. «Ci ho messo sei mesi a metabolizzare questo verdetto – ci racconta Nadia Zanacchi, la madre di Giulia –. È stato difficile accettare che nessuno pagherà mai per la morte di mia figlia e di quegli altri venti ragazzi. Avrei potuto rivolgermi all’Onu, ma sarebbe stata una fatica inutile».

Sfiducia

Due le ferite insanabili da quel pomeriggio: la morte di Giulia e della fiducia nei confronti della giustizia e dei suoi operatori. Per mamma Nadia non c’è mai stata intenzione di fare luce sui fatti e sulle responsabilità. «Le indagini sono partite tardi e il processo è iniziato solo grazie alle pressioni italiane e alla campagna mediatica partita da qui e che ha avuto eco in Germania. Ma il procedimento è partito da subito zoppo – ci ha spiegato la madre di Giulia – senza coinvolgere chi aveva avuto la responsabilità diretta dell’organizzazione e della scelta di un’area inadeguata per ospitare l’evento».

Il tribunale di Duisburg ha stabilito che, se di colpe si poteva parlare, queste andavano suddivise tra diversi soggetti; andavano talmente parcellizzate da rendere impossibile l’individuazione di responsabilità personali. Di qui l’archiviazione arrivata nel maggio 2020, a pochi mesi dalla prescrizione.

Il ricorso

Un brutto colpo davanti al quale la famiglia di Giulia aveva reagito presentando ricorso alla Cedu. L’appello era fondato sostanzialmente su tre motivi: la mancata tutela della vita di Giulia, l’inefficacia delle indagini e il mancato rispetto delle garanzie di un equo processo. E sembrava poter aver successo. «Inizialmente c’erano degli spiragli: il ricorso infatti era stato ammesso da un collegio di tre giudici. Tuttavia, a maggio, un unico giudice ha fatto dietrofront e ha respinto l’istanza. Evidentemente l’opinione di tre giudici conta meno di quella di uno solo – commenta amara Nadia Zanacchi –. Non avremmo mai dovuto illuderci: nessuno ha mai voluto rendere giustizia a mia figlia. Ho capito da subito che l’obiettivo era garantire l’impunità per quei fatti, ma nonostante tutto non ho mai smesso di lottare. Oggi però devo proprio arrendermi: non ho più alternative. Devo concentrarmi su ciò che Giulia amava, sulle sue passioni: la musica, l’arte, la moda. Questo è l’unico modo per renderle giustizia».

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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