Terre rare, perché non conviene riaprire le miniere a Brescia

Materie prime critiche. Sono le materie prime utilizzate nella transizione ecologica e digitale, perché servono – per esempio – per produrre turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e batterie. Sono critiche perché c’è un alto rischio di fornitura e la domanda prevista è in continua crescita. Secondo i dati del Governo la Cina fornisce all’Unione Europea circa il 98% delle terre rare – che rientrano nelle materie prime critiche –, il 71% del platino arriva dal Sudafrica e il 78% del litio è fornito dal Cile.

A Strasburgo e Bruxelles da alcuni anni sono al lavoro per garantire l’approvvigionamento dei materiali essenziali ai Paesi membri, così da eliminare il vincolo di sostentamento con la Cina. Il 20 giugno il Consiglio dei ministri ha colto le sollecitazioni, approvando un decreto per sostenere la ricerca delle materie prime critiche: con il «Critical raw material act», adottato dal Consiglio europeo a marzo, infatti, è stata imposta ai singoli stati una ricognizione dei propri giacimenti.
Secondo il database Gemma redatto dalI’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) in Italia attualmente ci sono 76 miniere attive, ma da queste vengono estratte solo 2 delle 34 materie critiche individuate dall’Ue: il feldspato (in 20 luoghi) e la fluorite (in 2 zone).
L’esperto
«Le miniere in Italia potrebbero offrire un numero elevato di metalli – spiega Alessandro Giraudo professore di Geopolitica delle materie prime e gestione dei rischi alla Grandes Écoles di Parigi e consulente del Governo italiano –. C’è però un problema ed è importante sottolinearlo: per prima cosa dobbiamo infatti sapere se questi siti sono competitivi dal punto di vista economico. Possiamo anche trovare sotto piazza del Duomo a Milano una miniera d’oro, ma potrebbe essere a 4mila metri di profondità e il materiale estratto costerebbe 22mila dollari: così non servirebbe a nulla e ci converrebbe ancora importarlo dalla Cina».

C’è poi da prendere in considerazione la tematica della sostenibilità ambientale. Forse nell’immaginario collettivo riattivare una miniera non comporterebbe nessuna criticità, ma la realtà è diversa. «Molte persone sono contrarie alla riapertura dei siti – precisa lo studioso di materie prime –. Esistono i Nimby, acronimo di “Not in my back yard”, che non vogliono costruite opere dall’impatto rilevante nella loro comunità, e ci sono i Banana (Build absolutely nothing anywhere near anything, ndr) che non vogliono nessuna costruzione. Una miniera vicino a casa significa tantissime cose: fumo, odori, rumori e senza dubbio un aumento dell’inquinamento. Siamo disposti ad accettare tutto questo? Molti sicuramente no. È una questione psicosociale da non sottovalutare».
Le materie rare in realtà non scarseggiano, i giacimenti esistono, ma rara è la capacità di lavorare i materiali a un costo accessibile, anche dal punto di vista sociale. «Raffinando si inquina molto e si mette a rischio la salute delle persone – prosegue Giraudo –. In alcune parti del mondo stanno certamente guadagnando, ma si chiedono anche quali saranno le conseguenze per i prossimi cinquant’anni. Oltretutto investire oggi non ci assicura un guadagno in futuro».
In Italia
Al momento in Italia non vengono estratte materie prime critiche metalliche: l’approvvigionamento dipende quindi totalmente dai mercati esteri. Secondo l’Ispra esistono però dei siti che potrebbero essere sfruttati.
Depositi di rame sono già noti nelle colline metallifere nell’Appennino ligure-emiliano, nelle Alpi occidentali, in Trentino, in Carnia e in Sardegna. Il manganese è stato estratto soprattutto in Liguria e Toscana. Il tungsteno è presente in Calabria, nel cosentino e nel reggino, nella Sardegna orientale e settentrionale e nelle Alpi centro-orientali, spesso associato a piombo e zinco. Il cobalto è invece documentato in Sardegna e Piemonte, la magnesite in Toscana e i sali magnesiaci nelle Prealpi venete.

L’accertato giacimento di titanio nel savonese è questione ben nota e le bauxiti sono localizzate nell’Appennino centrale, ma più consistenti in Puglia e soprattutto nella Nurra (Sassari). Possibili depositi di celestina potrebbero essere nelle solfare siciliane, mentre la presenza di litio è nota in Isola d’Elba, sull’Isola del Giglio e a Vipiteno.
Le materie nelle valli bresciane
Nella miniera ormai in disuso di Marzoli a Pezzaze e nel sito Graticelle di Bovegno c’è la fluorite. In Valcamonica nel sito Serioli di Marone c’è della magnesite, più a nord nel sito Dossi Cadino a Breno ci sono invece tracce di Magnesio. A Pisogne, nei siti Rizzolo (in località Ca’ di Fusio), Rangona (Bosco Vicini-Cortoleghe), La Longa e Frassina è presente della barite, così come in diverse località tra Capo di Ponte, Cerveno e Ono San Pietro. Se ci si sposta poi in Valtrompia si può trovare lo stesso materiale a Bovegno.
In Valtrompia
Nel Novecento in Valcamonica e in Valtrompia le miniere sono entrate in crisi e una dopo l’altra sono state costrette a chiudere. Un dato che potrebbe far preoccupare quando si parla di riaperture e di riattivazione delle miniere.
Lo conferma Anselmo Agoni, che gestisce il gruppo Ski-mine, di cui fanno parte le miniere Marzoli, Sant’Aloisio e Gaffione (Bergamo). «Sono state chiuse quando c’era una grande disponibilità di manodopera – spiega –: attualmente sarebbe ancora più difficile trovare personale».
Oltre al fattore legato alle risorse umane, c’è poi da prendere in considerazione la competitività. «A Bovegno c’è la fluorite – evidenzia Agoni –, ma attualmente non sarebbe economicamente conveniente estrarla. La barite poi arriva da Paesi in cui la manodopera costa pochissimo ed estrarla qui è quindi quasi impossibile. Oltretutto c’è da prendere in considerazione la quantità: le miniere hanno chiuso anche per questo motivo».
Gli impianti in Valtrompia sono dismessi da anni e adesso servirebbe un investimento davvero importante per riportarli in funzione. «Ora non ci sono gli impianti di idratazione e le laverie – continua Agoni – costruirne di nuovi comporterebbe una spesa davvero enorme. Dal mio punto di vista riaprire le miniere non è sostenibile. Poi certo, se lo Stato dovesse mettere i fondi per ricostruire tutti gli impianti di trattamento ben venga, ma sono convinto che sia più la spesa del guadagno».

Il turismo, invece
Le miniere Marzoli di Pezzaze e Sant’Aloisio, tra Collio e Bovegno, sono frequentate da turisti. «Si tratta delle uniche due miniere della provincia di Brescia ad essere state riqualificate da un punto di vista turistico – spiega Giada Rinaldi di Ski-mine Srl, la società che gestisce le due strutture –, e i numeri di visitatori e curiosi continuano ad aumentare. Nel 2014 eravamo intorno ai 3.000 turisti annuali sommando entrambe le miniere, l’anno scorso abbiamo sfondato quota 13mila».

Ma da dove arrivano i visitatori? «Sorprendentemente, non così tanti dalla valle – sottolinea Rinaldi –. Abbiamo gente da tutta la provincia, ma non solo: nel tempo è arrivata gente da Milano, Monza, Varese, Piacenza, Parma e Torino. Per eventi circoscritti come la notte di Halloween raggiungiamo anche le 700 persone in una sera, con turisti che vengono anche dalla Liguria». Le due miniere offrono due anime e due offerte diverse l’una dall’altra.

A Pezzaze c’è maggior spazio per la didattica rivolta a bambini e famiglie. Viene proposto un percorso di 800 metri a piedi e di altrettanti su un trenino sottoterra, con manichini, ricostruzioni, fotografie d’epoca, un impianto elettrico e uno sonoro per riprodurre i rumori del lavoro in miniera. Un vero e proprio viaggio in un tempo che non c’è più. «Si tratta di un luogo più a misura di famiglie - specifica Giada Rinaldi - con vari laboratori per i bambini durante l’anno».
La miniera tra Collio e Bovegno invece si presenta agli occhi dei visitatori più selvaggia e avventurosa. «Non ci sono impianti di illuminazione, chi vi entra lo fa con il caschetto e la torcia: è possibile toccare con mano – senza filtri – com’era la vita sottoterra». Per i fan dell’adrenalina, inoltre, è possibile usufruire del «percorso avventura», rinnovato nel 2014. «Dall’anno prossimo vogliamo riaprire anche la galleria per la speleoterapia – conclude Rinaldi – per la cura di allergie respiratorie e malattie nel tratto polmonare. Aperta nel 2019, è stata temporaneamente chiusa a causa del Covid, ma riceviamo ancora tante richieste, anche da medici e ospedali»
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