Loggia, risveglio brusco in maggioranza sull'antisemitismo: c’è già chi invoca il rimpasto di Giunta

Dice: «Ho visto poca serietà in questi mesi, non c’è il focus sulle problematiche, sui temi della città». Di più: «Se si prosegue così valuterò se lasciare il centrosinistra, non sono sposato con la maggioranza». Propone: «Per serietà, vanno restituiti i gettoni di presenza delle Commissioni, perché si sono rivelate una presa per i fondelli. Si è approvato il testo della destra: non solo è identico a quello di sette mesi fa, ma non si è neppure presa in esame la proposta che accoglieva le istanze di tutti». Il dente avvelenato è di Arshad Mehmood, capogruppo di Bs Capitale, a cui il piano sequenza del Consiglio comunale di lunedì non è proprio andato giù.
Cosa è successo
Il fatto: l’approvazione della mozione che sposa la definizione di antisemitismo dell’Ihra, voto dal quale il centrosinistra è uscito frastagliato, con tre no (Bs Capitale, Al lavoro con Bs e Bs Attiva), altrettante astensioni (Civica Castelletti) e qualche uscita dall’aula. Fuori, un coro di biasimo proseguito ieri: «Non accettiamo che si identifichi l’antisemitismo con il dissenso verso lo stato di Israele» scrive Libertà e Giustizia; «non ci sono parole per esprimere lo sdegno verso il centrosinistra, il Pd e i suoi servili cespugli» è la sentenza di Rifondazione comunista.
Si pensava di governare tutto nei corridoi, ma eccola: eterogenesi dei fini. Mehmood esce allo scoperto, ma le parole di Iyas Ashkar rivelano un voto di astensione lasciato in dote tutt’altro che a cuor leggero: «Che brutta pagina. Provo tristezza, rammarico e preoccupazione. Non sono mancati giochetti dietro le quinte e intese inaspettate».
Martedì il risveglio politico è brusco, l’iconografia semi-nuova (ma non inedita, era già andata in scena con il pasticcio di Campus edilizia): racconta di un «vuoto» di redini (oppure di troppi sgambetti) nel Pd. Ma il vuoto in politica è una suggestione a tempo, non esiste: sembra, a volte, ma non è mai vero. Quando sembra è perché qualcosa che non vedi sta accadendo. E infatti c’è di più.
I movimenti
Il «di più» si chiama insoddisfazione sui temi chiave («manca una visione politica» ripetono) e competizione interna. E quando ci si sente in lista d’attesa, si cade nel movimentismo. È una partita sottobanco, neanche troppo camuffata bene, che si sta giocando con tutti i crismi: le fazioni, le strategie, gli avvicinamenti e la gogna. L’orizzonte è un anno, ma il terreno e le pedine vanno preparati prima.
La meta di cui si parla a crocchi di persone, ormai palesemente, è il banco da assessore. Si pianifica la strategia di un rimpasto di Giunta dalla base, si fanno i conti, si bevono i caffè che servono, si spia chi parla con chi, per quante volte e con quanti sorrisi. Si fanno anche i nomi, incasellati in due possibili schemi e una condizione imprescindibile: devono essere un uomo e una donna per risolvere in partenza la questione di genere.
Il primo schema: isolare l’assessora all’Urbanistica Michela Tiboni, meglio ancora se si arriva a farle rassegnare le dimissioni contestualmente a un arrivederci anticipato di Marco Fenaroli, alla guida del Welfare. Lo schema numero due: fuori sempre Tiboni, ma stavolta insieme a un nuovo incarico in grado di portare verso altri lidi Alessandro Cantoni (titolare della delega alla Casa). Questa la geometria variabile sulla quale il gruppo dem in Loggia sta basando le proprie mosse. Chi entrerebbe? Il minimo comune denominatore è Roberto Cammarata (il miglior risultato elettorale tra chi è rimasto fuori dai giochi e ora segretario cittadino): la destinazione sarebbe l’Urbanistica (ma se quell’assessorato dovesse restare tecnico, il piano b sarebbe la Casa). Non è un segreto che l’ingresso di Cammarata andrebbe a rafforzare un’area precisa del Pd. Resta un posto per una donna: una figura tecnica? Possibile, rispondono. Ma non sfugge a nessuno che la Civica della sindaca difficilmente cederà un seggio, piuttosto si prefigurerebbe una staffetta e il nome in pole sarebbe Raisa Labaran.
Insoddisfazione in casa dem
Tutte queste profezie si legano a una insoddisfazione in casa dem sulla «non direzione del mandato», dicono: «Ci sono dei problemi sui temi chiave, a partire dalla casa, c’è una Giunta nella Giunta e si fanno pasticci» è il leitmotiv. Come a dire: i conducenti sbandano e la marcia è faticosa. C’è solo un dettaglio: a decidere se e chi esce, quando e come è un’unica persona, ovvero la sindaca. E si chiama Laura Castelletti.
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