Accuse e proteste, in Loggia maggioranza in tilt sull'antisemitismo

Uno tra i momenti più surreali s’è registrato sul finire della mattinata, quando Roberto Cammarata, segretario cittadino del Pd, si lascia andare alla seguente considerazione: «L’on. Simona Bordonali ha detto che chi non voterà questa mozione non può dirsi antisemita: benissimo, concordo, ha ragione». Al che, un battibecco «fuori microfono», due minuti più tardi e (probabilmente) il ricordo improvviso che nella maggioranza una varietà di voti contrari erano annunciati, corregge il tiro: «È importante chiarire che anche le posizioni dissidenti non possono dirsi antisemite».
Palazzo Loggia, lunedì 29 gennaio, ore 10.15: il giorno del giudizio sulla mozione tenuta a bagnomaria per un anno e mezzo e poi passata attraverso un rosario di tira e molla alla ricerca di una (fallita) unanimità è arrivato. Il pomo della discordia: la mozione che riguarda le «Misure del Comune di Brescia contro l’antisemitismo», un tema denso e complesso, specie nel bel mezzo di una guerra (che l’assessore Marco Fenaroli tiene a precisare essere «asimmetrica») in corso.
Una telenovela durante la quale - solo nell’arco della mattinata di ieri - si è passati dalle seguenti scene: attivisti che urlano le loro ragioni contro i consiglieri comunali, la Polizia locale che di peso scorta fuori dall’Aula i contestatori, il presidente del Consiglio Roberto Rossini che tenta di vietare alla stampa di registrare ciò che sta accadendo all’interno di Palazzo Loggia («dovete andare fuori a riprendere e a fare le interviste, qui non si può»: regola inedita), la maggioranza che parla di grande successo ma vota (o non vota) in quattro modi differenti dopo una tarantella di prove di unità durata mesi, Arshad Mehmood (seduto in maggioranza per Bs Capitale) che parla di «compravendita politica da parte delle forze di destra, Pd e Azione senza valutare le esigenze dei bresciani né la voglia di trovare una soluzione». Eppure un lavoro è stato compiuto, ma di fronte alla complessità, ha vinto il situazionismo.Il dissenso

Fin qui, il colore. La sostanza, invece, dice che al termine di mesi di dibattiti e audizioni che hanno coinvolto prima il Consiglio comunale, poi i capigruppo, quindi la Commissione cultura e poi ancora i capigruppo, si è tornati al punto di partenza. Chi non era d’accordo con la prima stesura, è rimasto contrario a quella arrivata in Aula (che si rifà alla Strategia nazionale di lotta all’antisemitismo approvata dal governo Draghi, dove si riprende la definizione dell’Ihra). La maggioranza è arrivata a una conclusione del tipo: tutti d’accordo non si può essere, puntiamo sulla trasversalità (che c’era pure prima, per la verità).
Facile riassumere la posizione del centrodestra, di cui in Aula si sono fatti portavoce principali Giovanni Posio (Fdi) e Paolo Fontana (Fi): a favore. «Il Pd - è, non a caso, il commento di coalizione - pur con qualche assenza tra i suoi banchi, ed Azione non hanno potuto far altro che seguire la linea politica tracciata in modo lungimirante dal centrodestra, distinguendosi».
Quattro orientamenti
Nel centrosinistra ci sono quattro orientamenti diversi. Uno: il voto contrario di Francesco Catalano (Al lavoro con Bs), Valentina Gastaldi (Bs Attiva) e Arshad Mehmood (Bs Capitale), politicamente la posizione più coraggiosa perché è facile dire «no» quando si è in opposizione. La motivazione: «Questa definizione porta a discriminazioni e a censure perché sovrappone le critiche allo Stato di Israele all’antisemitismo». Fenaroli (contrario al testo approvato) l’ha spiegata così: attenzione, non si possono confondere i concetti di Stati, popoli e governi.
Secondo gruppo: il voto favorevole di Azione e del Pd («è un tema complesso sul quale era necessario un percorso, ritengo questo documento un punto di partenza» spiega il capogruppo Roberto Omodei), ma (e siamo alla terza opzione) con Andrea Curcio fuori dall’Aula.
Quattro: l’astensione dei tre consiglieri della Civica Castelletti, la più incomprensibile se si lega alle grevi parole pronunciate durante il dibattito: «Queste linee guida non consentono a tutti di esprimere le proprie idee, io uscirò da quest’Aula e mi sentirò meno libera» ha scandito Raisa Labaran. La scelta di non schiacciare il tasto rosso si rivela una questione di opportunità politica: si chiama Civica Castelletti e la sindaca, rimasta in Aula, ha votato a favore della mozione.
Gli scenari
È chiaro che il centrosinistra in Loggia deve ancora trovare un equilibrio politico, una instabilità che nasce principalmente dallo scollamento interno al partito di maggioranza della coalizione: è nel Pd che frana la coesione. Un esempio, banale ma emblematico: l’assessore Valter Muchetti annuncia una riflessione e un lavoro sull’introduzione del daspo urbano e subito, a qualche metro di distanza, c’è chi borbotta che «ha fatto i conti senza l’oste». I banchi sono sempre quelli del Pd. Il capogruppo Omodei sta costruendo una sponda, un fronte di dialogo anche con gli avversari per dribblare almeno gli scontri che nascono (letteralmente) «per partito preso», ma pure per poter tenere il punto sulle questioni politiche più di rilievo.
C’è però chi si mette di traverso, forse ancora impigliato nella baruffa di partito legata alla scelta prima del candidato sindaco, poi del candidato vicesindaco (strascichi dell’ormai famoso duello Manzoni-Muchetti). Le riunioni del gruppo «sono complicate, c’è un problema evidente sui temi» confessa più di un consigliere dem con la richiesta di rimanere anonimo. È chiaro che un Pd instabile rischia di trascinare l’intera maggioranza in un cortocircuito. E forse la libertà di scelta sui temi etici, che sono al di fuori del «patto programmatico» su cui si è fondata la coalizione, potrebbe fare cadere una serie di tabù che si sono rivelati, alla fine, controproducenti.
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