Insegnanti, in Europa sono tra i meno pagati: «Si deve arrotondare»

L’Italia è fanalino di coda per quanto riguarda gli stipendi degli insegnanti, rispetto alla media dei grandi Paesi europei. Paghe basse, dalla scuola primaria alle scuole superiori, che contribuiscono ad abbassare sempre più il livello di vita di una categoria la quale, proprio per la missione educativa che la contraddistingue, dovrebbe invece essere tra le più valorizzate.
L’accredito
I numeri parlano: un docente di scuola primaria «alle prime armi» percepisce 1.350 euro al mese, 1.400 se invece insegna alla scuola secondaria di primo grado, che salgono a 1.500 nella secondaria di secondo grado. La retribuzione netta dello stesso insegnante arriva a toccare, se ha alle spalle almeno 35 anni di anzianità (in pratica a fine carriera), i 1.800 euro nella primaria, 1.900 nella scuola media, 2.050 nella scuola superiore (se si tratta di docente laureato). Il rapporto dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico «Education at a Glance», pubblicato lo scorso settembre, che mette a confronto le statistiche aggiornate sui sistemi scolastici dei Paesi membri, inclusi i dati sugli stipendi degli insegnanti, rileva che il livello italiano è inferiore a quello degli altri grandi stati europei come Germania, Francia e Spagna, della media Ocse e della media europea.
Il risultato si traduce, in concreto, in una vistosa perdita del potere d’acquisto per i rappresentanti di una professione considerata, almeno un tempo, fra le più stimate e autorevoli.
«Basta fare due conti – racconta Anna F., docente da più di 30 anni nella scuola superiore –: se consideriamo i costi delle bollette di energia e gas schizzati alle stelle negli scorsi anni, e mai del tutto rientrati, si capisce immediatamente che soltanto le utenze domestiche possono erodere gran parte dello stipendio reale di un insegnante. Resta ben poco per coprire le esigenze primarie, ovvero per mangiare, e sostenere le spese relative a trasporti, vestiario, pagamenti vari che quasi tutti i mesi arrivano, vuoi per il bollo auto piuttosto che per la tassa rifiuti o altro. Di fatto – aggiunge Anna –, è impossibile andare avanti, se in famiglia non ci sono altre entrate. Chi è da solo, deve arrabattarsi impartendo lezioni private oppure, se può, arrotondando con altri lavori o collaborazioni di vario tipo». Ma come mai ci troviamo in tale situazione e il declino delle condizioni (economiche in questo caso, ma è chiaro che esse si riflettono anche sul piano psicologico e sociale) della classe «intellettuale» per eccellenza sembra diventato ormai strutturale?
Va ricordato che gli stipendi del personale docente sono regolamentati dal Contratto collettivo nazionale: l’ultimo rinnovo, relativo al triennio 2019-2021, è stato firmato (con un ritardo di oltre due anni) a luglio 2023, portando ad un aumento di 124 euro lordi nella busta paga degli insegnanti. Non è difficile capire come si sia ben lontani da un effettivo adeguamento ai tassi d’inflazione e al generale aumento dei prezzi dei beni di vario genere.
Il ricorso
In più, alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione e della Corte d’Appello di Firenze, i sindacati si stanno in questo periodo occupando delle possibili modalità di recupero dell’anno solare 2013, ai fini della maturazione delle posizioni stipendiali dei docenti che all’epoca erano già in servizio. Tale anno fu infatti «congelato» dalla normativa allora entrata in vigore (governi Monti-Letta) per il «contenimento della spesa pubblica», impedendo gli scatti degli stipendi e i relativi incrementi economici per gli interessati. Blocco che la giurisprudenza sta ora rivedendo, con l’auspicio che la vicenda si possa concludere positivamente.
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