Il terremoto di Salò, vent’anni dopo: il reportage
La signora Maria Manestrina apre il cancellino e ci accompagna in casa. «Non la sento mia» è la prima cosa che dice. Le coordinate sono le stesse di sempre, il posto è quello. Ma sono cambiati gli spazi, sono cambiate le stanze e non è così facile rivivere i vecchi ricordi. Non toglie il grembiule la signora Maria, l’ha indossato per una vita, perché dovrebbe farlo davanti a due giornalisti. Vent’anni fa probabilmente aveva addosso un pigiama, perché era notte e come tutti –o quasi – era nel letto a dormire. Una scossa, venticinque secondi di paura e di colpo tutta la storia passata dai quei muri è svanita. Un crollo che la signora Maria non è più riuscita a dimenticare.
La terra trema
«Mancavano pochissimi secondi alla mezzanotte quando la terra ha iniziato a tremare. Dapprima lo stupore, poi l’incredulità, poi la paura. Paura che ha fatto riversare nelle strade migliaia di persone, spaventate e tremanti in tutta la nostra provincia». Quei pochi secondi dividevano mercoledì 24 da giovedì 25 novembre 2004. E queste sono le parole con cui il nostro quotidiano aprì l’edizione di quel giovedì. «Terremoto sul Garda, notte di paura».
Precisamente sono le 23.59 e 38 secondi quando una forte scossa di terremoto trafigge il lago di Garda e la Valsabbia. Magnitudo 5.2 secondo la scala Richter, ottavo grado l’intensità del sisma secondo la Mercalli. L’epicentro è nell’area collinare tra Salò e Vobarno, ad una profondità di 8/10 chilometri. Per rendere l’idea, il terremoto del novembre ‘80 in Irpinia fu di magnitudo 6.9; quello de L’Aquila nell’aprile del 2009 di 6.3. Quando la terrà tremò in Emilia, nel maggio del 2012, il magnitudo fu di 5.8/5.9: morirono in totale 27 persone con 13 miliardi e 273 milioni di euro di danni. Nel Bresciano venticinque secondi di terrore che colpirono principalmente Vobarno, Sabbio Chiese, Roè Volciano, Villanuova, Gavardo, Salò e Gardone Riviera. Ma la scossa venne sentita in tutto il Nord Italia, raggiungendo anche Svizzera, Austria e Slovenia.
Dopo tutti questi anni

Girando per le zone colpite dal sisma, vent’anni dopo, non si trova più quasi nessuno sfregio. Grazie agli aiuti arrivati negli abitati e alla collaborazione tra enti e associazioni, le abitazioni private e gli edifici pubblici sono stati ristrutturati. Sono pochissime le case che portano i segni di quella notte: sembrano quasi un simbolo che nessuno vuole toccare. Sono la testimonianza tangibile di ciò che è successo e che ha sconvolto intere comunità. Ci sono però i racconti di chi ha vissuto in prima persona il terrore del crollo, di chi si è ritrovato in pochi secondi fuori casa e non ha potuto farci ritorno per anni.
I numeri

Fu un’esperienza drammatica, che segnò un intero territorio e ancora oggi viene ricordata come una delle più significative nella storia bresciana. I numeri restituiscono l’importanza dell’evento. 2.202 le persone sfollate, 3.649 gli edifici privati danneggiati, 315 gli immobili ecclesiastici e 183 quelli pubblici. 215 milioni di euro il conto totale dei danni. Dalle casse pubbliche arrivarono poi negli anni 121 milioni di euro. Al 118 giunsero oltre 1.500 chiamate, 1.000 ai vigili del fuoco e molte altre ai carabinieri, in questura e ai volontari del Garda. In quella notte scesero in campo 800 operatori, tra cui 180 vigili del fuoco, 350 volontari e 200 tra alpini e tecnici. Miracolosamente non ci furono vittime e solo cinque persone ferite: quattro a Salò e una a Preseglie.
«Ero appena andata a dormire, quando tutto ha iniziato a tremare: i quadri si sono staccati dalle pareti ed i soprammobili e le lampade sono caduti in terra»
Le conseguenze
In molti uscirono di casa in pigiama con valigie fatte in fretta. Per le strade scenari tristi, caratterizzati da calcinaci, crepe e macerie. Nella frazione di Clibbio, a Sabbio Chiese, una casa venne devastata da un masso staccatosi dal monte. A Vobarno la frazione di Pompegnino rimase senza elettricità a causa del danneggiamento di due trasformatori. E poi ancora: vennero sfollati gli ospedali di Fasano e Salò (che avevano rispettivamente 38 e 14 degenti, trasferiti tra Brescia, Desenzano e Gavardo), la cui caserma fu resa inagibile. I municipi di Salò, Vobarno, Gardone Riviera e Sabbio Chiese subirono diverse lesioni e in via precauzionale venne chiuso il Vittoriale a Gardone Riviera. In seguito alla scossa crollarono anche il campanile di Gazzane di Preseglie e la tribuna del vecchio stadio Amodei di Salò.














«Ho un ricordo molto brutto. Il letto ballava e non si stava in piedi. Sono sceso in strada e ci siamo ritrovati tutti al parco. Al mattino poi ci siamo accorti veramente della quantità dei danni»
A Pompegnino
Pompegnino, frazione di Vobarno, rimase al buio quella notte di 20 anni fa. Un buio che durò però per 60 ore, perché solo due giorni e mezzo dopo la località finì nella mappa delle emergenze e riuscì così a ricevere i primi aiuti «ufficiali». C’era anche la signora Maria Manestrina in strada, aveva 69 anni e pochi giorni dopo affrontò a muso duro l’allora capo della Protezione Civile Guido Bertolaso. Oggi ricorda con lucidità quei momenti e si porta dentro un dolore che non passerà mai più. «Quella era la mia casa, là avevo tutti i miei ricordi: da bambina ad anziana. Sono stata felice, sono stata infelice, ma quella era la mia casa. Lì mi sono sposata, ho avuto i miei figli e i miei nipoti. Ringrazio ancora oggi tutti quelli che ci hanno aiutato: non ricordo le facce, ma c’era solidarietà»

Nell’abitato in questi giorni si lavora per la commemorazione del terremoto. «Un minuto a mezzanotte… vent’anni dopo» recitano le affissioni sulle bacheche pubbliche. «Ho un ricordo molto brutto. Il letto ballava e non si stava in piedi. Sono sceso in strada e ci siamo ritrovati tutti al parco. Al mattino poi ci siamo accorti veramente della quantità dei danni», racconta un signore. «La mia casa è restata in piedi per fortuna, allora poi mi sono messo a lavorare per quelle degli altri – spiega un volontario –. Però ricordo la paura: avevo una bambina di 12 anni». La memoria è ancora viva. «A livello di comunità ci siamo uniti e la ricostruzione ha avuto degli effetti positivi», aggiunge un altro volontario.
Il precedente nel 1901

A Salò la terra tremò anche molti anni prima. Precisamente alle 15.49 del 30 ottobre 1901. Quella scossa provocò due vittime: Angela Righettini e Antonio Florioli, di soli cinque anni. Secondo i dati dell’epoca il terremoto ebbe un’intensità tra i sette e gli otto gradi della scala Mercalli. L’ospedale venne sgomberato, il duomo subì gravi danni e molte case crollarono. Le cronache riportano che anche i paesi del comprensorio vennero colpiti in modo pesante, ma gli aiuti del Governo arrivarono per tutti i comuni della Valtenesi e della bassa Valsabbia.
La ricostruzione

«Quell’energia misurata in magnitudo 5.2 non si esaurì nell’onda che fece vibrare case, chiese cuori, ma si propagò in modo virtuoso. La macchina dei soccorsi (espressione efficace ancorché brutta, perché un grande cuore batte al suo interno) si attivò subito, coinvolgendo Forze dell’ordine, Protezione Civile, sindaci e volontari. La risposta all’emergenza fu pronta, a tutti i livelli. La solidarietà si tradusse in gesti concreti». Così scriveva l’attuale vicecaposervizio in cronaca del GdB Alessandro Carini nel 2014, a dieci anni dal terremoto. Quando si potevano già vedere i frutti della ricostruzione.
Nel giro di pochi anni, infatti, la maggior parte delle case e degli edifici pubblici venne recuperata e migliorata dal punto di vista strutturale. Merito va dato anche alla collaborazione tra Enti locali e il Commissario straordinario per il sisma Massimo Buscemi, che al tempo era assessore regionale alla Protezione Civile. Il risultato fu positivo: a giugno del 2008 era stato erogato il 63% dei fondi disponibili.
L’ospedale di Fasano









«Fasano si è sentita abbandonata. Non intendiamo lasciar correre altri anni così: questa Amministrazione interverrà»
L’ospedale di Santa Corona di Fasano a Gardone Riviera venne chiuso dopo il terremoto e non fu mai più rimesso in funzione. È forse la ferita più profonda aperta quella notte. Quel 24 novembre del 2004 i 38 degenti cardiopatici vennero trasportati negli ospedali di Desenzano e Brescia, da allora le porte del presidio gardesano non sono più state riaperte: un duro colpo, economico e psicologico, per la comunità. L’ospedale si trova in corso Zanardelli, la via che attraversa Gardone Riviera. C’è ancora l’insegna blu con l’acca bianca. Ma tutto è diroccato. Nella bacheca degli annunci campeggia un avviso «Orario visita parenti in vigore dal 01.02.2001». Il giardino, bellissimo, si apre sul lago. È incolto, come ogni cosa dentro il presidio. Il tempo si è fermato vent’anni fa e adesso rimangono muri scrostati, ruggine e erba infestante. «Fasano si è sentita abbandonata – spiega il neo sindaco Adelio Zeni –. Non intendiamo lasciar correre altri anni così: questa Amministrazione interverrà».
Il racconto di chi c’era
La macchina dei soccorsi si attivò in venti minuti, e allo stesso modo fece anche quella dell’informazione: ci fu un’edizione speciale di Teletutto e molti furono i contributi nei giorni successivi. Alcuni anni fa uscì un lungo speciale per raccontare attraverso i video del tempo il terremoto di Salò.
Gianluca Gallinari, cronista nel 2004 e oggi caporedattore del Giornale di Brescia racconta le sensazione di quelle ore. «Fu Salò a risultare il centro destinato ad accogliere il primo campo base degli aiuti. E con il fotografo, Gabriele Strada, volammo là. Arrivammo in breve sul lungolago che offriva uno spettacolo surreale. Le vie d’accesso all’area del Palazzo della Magnifica Patria erano disseminate di calcinacci, mentre nella zona più illuminata c’era una folla che per proporzioni non avrebbe stupito in una domenica pomeriggio. Solo che la maggior parte delle persone era in pigiama o con abiti rimediati nella fretta della fuga dalle abitazioni e si riparava dalla temperatura quasi invernale con giacche e coperte. Tra le immagini che conservo come in un lungo filmato ci sono quelle di molti dei salodiani riparati in strada che ridevano nervosamente, forse per reazione all’enorme spavento e allo scampato pericolo. Il fotografo scattò e si affrettò a spedire in redazione un paio di istantanee digitali. Nel 2004, cosa che oggi fa sorridere, le comunicazioni via internet, specie tramite telefonino, erano tutt’altro che scontate e in ogni caso lentissime. Tanto bastò a far sì che il GdB fosse l’unico quotidiano ad avere due enormi foto del terremoto nelle prime due pagine».
«La Gardesana era una distesa di lampeggianti blu. Ricordo che fu commovente per me vedere quell’enorme macchina dei soccorsi muoversi con rapidità ed efficienza. E anche la generosità di molti che si mettevano a disposizione, vuoi volontari di organizzazioni di Protezione Civile, vuoi comuni cittadini, che saputi al sicuro i propri cari, si offrivano di contribuire come si poteva a gestire l’emergenza generale. Percorremmo strade avanti e indietro, cercando di raccogliere il racconto di chi aveva vissuto istanti terribili, fotografie dei primi crolli individuati, i segni tangibili nei muri e nei volti dell’onda sismica. E via via si fece avanti la confortante consapevolezza che, pur a fronte di molti danni, l’incolumità delle persone sembrava pressoché totale. Fu forse l’immagine del campanile di Campoverde, poco lontano dalla caserma dei carabinieri salodiani, a divenire in poche ore cifra e simbolo degli effetti del terremoto».
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
