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Il primario di Chiari si difende: «Non ho abusato delle colleghe»

Accusato di violenza sessuale da una dottoressa e da un’infermiera, il medico ha raccontato la sua verità in aula
Il tribunale di Brescia - Foto © www.giornaledibrescia.it
Il tribunale di Brescia - Foto © www.giornaledibrescia.it
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Ha ammesso e giustificato un episodio. Ne ha negato un altro. Si è difeso su tutta la linea il primario dell’ospedale di Chiari accusato di violenza sessuale da una collega e dalla infermiera che per anni ha coordinato il suo reparto. Incalzato dal presidente della prima sezione Roberto Spanò, dal suo avvocato Alessandro Brizzi e dal pm Ettore Tisato, il 64enne medico ha dato una spiegazione alternativa alle accuse.

Quanto sia stato convincente si saprà solo il 13 febbraio, giorno nel quale il processo dovrebbe tradursi nella sentenza.

Le accuse

Il primario fu denunciato dall’infermiera pochi giorni prima del trasferimento di quest’ultima da Chiari ad Orzinuovi. Venuta a conoscenza della iniziativa della caposala, in tempi successivi, anche la dottoressa si rivolse alla direzione dell’ospedale e venne chiamata a deporre in caserma.

La prima riferì di essere stata oggetto di morbose attenzioni da parte del medico che, in un’occasione, sarebbe arrivato anche al punto di metterle le mani sul seno, contro la sua volontà. La seconda raccontò di essersi trovata chiusa nell’ufficio del collega che non avrebbe perso tempo per baciarla e infilare le sue dita sotto gli indumenti.

L’autodifesa

È partito proprio da qui il medico, dal rapporto con la collega. «Non era nella mia equipe – ha spiegato ieri al collegio – l’avevo conosciuta al bar dell’ospedale. Ci vedevamo di tanto in tanto per un caffè, fino a quando ci siamo scambiati i numeri di telefono ed abbiamo cominciato a scriverci. Quella mattina – ha detto il primario arrivando al cuore dell’accusa – ci siamo dati appuntamento. Una volta a tu per tu la collega mi disse che non vedeva l’ora di stare da sola con me e, quando ci siamo trovati all’interno del mio studio, l’ho baciata e ho messo le mani sotto la sua blusa».

La scena da serie tv in corsia – così come raccontata – dura il tempo di qualche brevissimo frame. «Lei si irrigidì – ha spiegato il medico – mi disse che non se la sentiva di fare tutto ciò al marito e mi allontanò. Io decisi di non andare oltre. Nei giorni successivi mi scrisse ancora, ci scambiammo altri messaggi. Ma non capitò più nient’altro. Fui io a troncare quel tira e molla».

La dottoressa invece andò dai carabinieri. Perché? «Probabilmente doveva giustificare le nostre chat al marito».

Il racconto del primario

Tutt’altre sarebbero le ragioni, ad avviso dell’imputato, che hanno spinto la sua caposala dai carabinieri. «Non l’ho mai sfiorata e tra noi – ha detto il medico – non c’è stato niente che possa essere stato nemmeno frainteso. I rapporti professionali con lei inizialmente erano ottimi, mi aiutava a gestire il malumore che c’era nella mia equipe. Di colpo però ha cominciato a schierarsi contro di me, a fare ostruzionismo», a creare le condizioni – ha fatto capire il primario – per un suo trasferimento.

«Non voleva andarsene – ha spiegato il medico – e voleva che fossi io a farlo, per questo mi ha denunciato».

Il clima in corsia e in aula

Che il clima in corsia non fosse idilliaco e che le tensioni di allora non si siano ancora stemperate è chiaro ancora oggi. Per averne certezza non c’è bisogno di sentenza, era sufficiente essere in aula ieri. Mentre il primario rispondeva alle domande, tra il pubblico, sedeva uno dei medici del suo reparto. Il dottore è stato sorpreso dai carabinieri mentre, con il telefonino nascosto nella giacca, fotografava il suo primario sul banco degli imputati.

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