Idroelettrico, le nuove concessioni «attraggono» i gruppi stranieri

Non si parla di pochi spiccioli o di qualche impianto «secondario». Non in Lombardia, perlomeno. Per dire: Enel produzione ne ha in ballo sedici, A2A otto, Enel green power Italia 19, Edison undici. Il totale complessivo delle concessioni sul piatto nella nostra regione fa 800, tra cui 74 grandi derivazioni (due interregionali). Significa produrre una potenza media annua pari a 1.503 megawatt. Una ricchezza inestimabile di energia, quella che deriva dalle nostre centrali, che apportano il 27% della potenza idroelettrica nazionale e il 23% della produzione annua.
Per questo, ora che le concessioni si apprestano ad essere messe sul mercato, il nostro asset territoriale e strategico «fa gola» anche ai grandi gruppi stranieri. Con i quali i concessionari storici (come appunto Enel, A2A ed Edison) si trovano e si troveranno a dover competere nel grande risiko delle gare che – sulla scia della normativa vigente – la Lombardia non intende interrompere. Anche se – è l’obiezione dei big nazionali – l’Italia è l’unico Paese che prevede i bandi (a prevederlo è una misura del Pnrr), mentre all’estero la possibilità di partecipare ai bandi per la gestione delle derivazioni non esiste.
Un affare
La corsa all’oro blu è un affare che nessuno vuole farsi scappare. Anche perché si tratta di un asset strategico per le politiche energetiche. Le infrastrutture costituite da dighe, canali e gallerie percorrono per chilometri le zone alpine, le valli e i corsi d’acqua andando a sviluppare una rete di infrastrutture non delocalizzabili. Senza contare che quella idraulica «è l’unica fonte non emissiva» – come specifica lo studio condotto dall’assessorato regionale alle Risorse energetiche guidato da Massimo Sertori – e ha un rendimento di conversione in energia elettrica superiore all’80%: esattamente al pari dell’eolico, ma con il vantaggio di essere programmabile e anche accumulabile.
La vicenda tocca da vicino anche Brescia. Per capire quanto, basta snocciolare le cifre: la nostra provincia garantisce e fornisce il 5% della produzione nazionale, che corrisponde al fabbisogno energetico mensile di 6,6 milioni di famiglie composte da quattro persone (225 KWh). Le piccole e grandi centrali del Bresciano producono in media un’energia netta pari a 1.542,28 gigawattora, con la Valcamonica in vetta sia per impianti sia per numero di dighe.
Le 20 scadute
Qual è il punto? Da un lato, ci sono le aziende «made in Italy» che non vogliono farsi scappare questa commessa, dall’altro c’è la Regione che intende tirare dritto con gare pubbliche, in ottemperanza alla normativa vigente. Come sta facendo: due gare sono già state indette. E le prime mani «oltreconfine» si sono già fatte avanti, tanto per l’impianto Codera-Ratti e Dongo (Sondrio), dove a concorrere è stato il gruppo Ep produzione, che fa capo ai cechi di Eph, in consorzio con Slovenské elektrárn (dove Enel è socio di minoranza). Quanto per l’impianto di Resio (4.064 KW), tra Esine e Darfo, dove a presentare un’offerta è stata la società svizzera Bkw Hydro Italia (operatore già presente in Lombardia), che competerà con l’uscente Linea green, ma anche con Italgen, Acea, Asco Eg e Alperia green power.
Per ora sul tavolo c’erano solo due piccole concessioni, in tutto si tratta di 23 megawatt. Ma la posta in gioco è molto più alta. Basti pensare che le grandi derivazioni già scadute sono venti, per un totale di 448 MW da assegnare: di queste, sei sono nel Bresciano (valore: 93 MW). E, soprattutto, in prospettiva – da qui al 2029 – ci sono altre 41 concessioni con la data di scadenza. Sommate, quelle scadute e quelle in scadenza, rappresentano il 90% delle grandi derivazioni lombarde.
Reciprocità
Lo snodo di questo malcontento, però, sta tutto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. La messa a gara era infatti uno degli obiettivi della terza rata del Pnrr, rata che è già stata erogata. Esclusa la richiesta di una proroga o di un rinnovo, si sta discutendo della possibilità di una riassegnazione senza gara pubblica, a fronte di maxi piani di investimento sul territorio, ma ad oggi un accordo ancora non c’è.
Sertori, comunque, invita a non esasperare questo scenario: «Quella dell’avanzata dei gruppi stranieri è una delle critiche che vengono mosse dagli attori concessionari. Se mi si dice che c’è un problema di non reciprocità sono d’accordo ed è anche una delle ragioni per la quale la Lombardia ha contribuito a scrivere la normativa sulla cosiddetta quarta via, ossia sulla possibilità di andare a trattativa diretta a condizioni di mercato, strada che dev’essere però approvata da Bruxelles. Effettivamente la legge prevede le gare in Italia, ma non all’estero».
Ma lo svantaggio, per l’assessore, si ferma qui: «Non si può certo gridare "aiuto aiuto arriva lo straniero" – chiarisce –, perché va ricordato che stiamo parlando di fare gare per la gestione: la proprietà delle dighe e dei canali, una volta finita la concessione, va a titolo gratuito alla Regione, quindi rimane saldissimamente in mano italiana. Noi stiamo avviando gare per individuare chi sarà il prossimo gestore, che deve comunque avere precisi requisiti». Insomma, la partita non è soltanto economica ma anche politica. E si gioca tutta tra Roma e Bruxelles.
Riproduzione riservata © Giornale di Brescia
Iscriviti al canale WhatsApp del GdB e resta aggiornato
@News in 5 minuti
A sera il riassunto della giornata: i fatti principali, le novità per restare aggiornati.
