Hiroshima, la testimonianza: «Il cielo cambiò colore e mi buttai a terra»
Shozo Tanaka, trent’anni fa, ci accolse con la tenerezza di un uomo in pace con l’universo. Calmo, lo sguardo aperto sui suoi bonsai nella campagna di Padenghe, accanto la moglie Tomoko, specialista di ospitalità, declinata con un tè, un sorriso e una lieve incitazione a stare come fossimo a casa nostra. Shozo Tanaka raccontò per la prima volta a dei giornalisti la diabolica oppressione della prima bomba atomica sul corpo e nell’anima di migliaia di persone. Lui stava lì, impietrito, la memoria netta di un bambino che certificò uno dei più feroci peccati dell’umanità.
A 9 anni, nella scuola elementare di Hiroshima, sobborgo di Miyauchi, il 6 agosto 1945 alle 8,15 –raccontava, in quel crepuscolo di ottobre, a Gabriele Strada e a me, immobili con la bocca sospesa al respiro –, l’attesa per entrare in classe: «Aspettavo il terzo suono della campanella e invece ci fu il terzo e insieme il quarto. Era il segnale: bombardamenti in arrivo».
"A scene from hell." Survivors of the Hiroshima and Nagasaki bombings share their stories in "Atomic People" https://t.co/9l4vJ8lvPV
— TIME (@TIME) August 4, 2025
Finirono in uno scantinato, tipo bunker e nel giro di pochi minuti tutto tremò, i colori della vita mutarono, lo spavento fu la prima morte. Tanaka non aveva dimenticato nulla: «Da una piccola finestra vedemmo il cielo cambiare di colore tante volte, le nuvole correvano e subito diventammo tutti rossi in faccia, ci coprimmo gli occhi e ci buttammo a terra. Più tardi, verso mezzogiorno ci accompagnarono a casa, io abitavo lì vicino». L’inganno grande di una pausa, convinse Shozo Tanaka a raggiungere il fiume vicino, il Mitarai – il nostro Oglio –. Implacabile la sua memoria. Da vicino cominciò a contare le loro piaghe, la pelle persa a pezzi, il sangue sparito nelle bruciature e tanti cominciarono a cadere nel fiume.
«La nostra scuola divenne un ospedale, centinaia di persone furono portate in ogni spazio, nella notte, cataste di morti si formarono nel cortile. Era un lamento incessante. Oggi ci dicono che morirono 200mila persone e qualche anno fa, a Hiroshima, ne contarono quasi 10mila per le contaminazioni. Fino alla settima, ottava generazione puoi perdere la vita a causa della bomba atomica di quel 6 agosto 1945».
Il giorno dopo, Shozo Tanaka fu preso per mano dal padre e insieme si portarono nella città alla ricerca del cugino. Hiroshima era un deserto: «...macerie, treni rivoltati, rotaie...Per riconoscersi, i bambini portavano una pezza di tela gialla cucita sulla blusa con su scritto nome e cognome. Scoprimmo di nostro cugino sparito nel ricordo di quel suo nome e basta sulla cima di tanti cadaveri. Un nostro amico si salvò, saltando di vasca in vasca fino a casa. Ogni abitazione aveva davanti una vasca d’acqua. Si laureò e divenne prete come il padre».

Finite le scuole dell’adolescenza, Shozo Tanaka imparò il mestiere difficile del sessaggio, il mestiere di stabilire il sesso di mille pulcini al giorno, massacrante, da perdere la vista. Venne in Spagna e infine in Italia, per via di amicizie e parentele, prima in Emilia e poi a Padenghe. Uno dei suoi gli aveva detto che Padenghe era bellissimo, con un paesaggio simile alle vedute giapponesi. Qui comprò dei terreni e scelse il mestiere dei suoi avi. Il bonsai divenne simbolo della sua identità e segno di pace.
Shozo Tanaka è campato i suoi anni fino all’11 agosto del 2022. Lo hanno salutato migliaia di bresciani a cui testimoniò sofferenza e pace. Vicino la moglie Tomoko e i figli Leonardo (Kimiharu) e Francesco, Kiminori. E il pensiero speciale di Lodovico Galli, storico bresciano: fu proprio lui a inviarci in quel crepuscolo dall’indimenticabile sopravvissuto di una tragedia disumana di cui oggi cade l’ottantesimo anniversario. Lo aveva scoperto osservando la sua data e il luogo di nascita alla camera di Commercio dov’era dirigente e lo aveva scritto con l’indirizzo dell’ambasciatore giapponese a Milano sul palmo di una mano, biro Bic. «Dai un’occhiata, questo qui è nato a Hiroshima il 1° novembre del 1936, a 9 anni è stato sotto la bomba degli americani... Padenghe, allevamento Bonsai... Ciao».
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