Francesca Granata e la Protoporfiria: «La luce fa male, ma esco dall’ombra»

A Francesca Granata bastano pochi minuti di esposizione alla luce blu, visibile, per sentirsi «bruciare come se avessi una scottatura da forno o ferro da stiro: provo dolore, sudo, mi viene da svenire».
Un calvario iniziato quando aveva due anni e a differenza degli altri bambini non era affatto contenta di essere in vacanza al mare: piangeva, era triste, arrabbiata. Un calvario, quello della «non diagnosi», durato fino a quando, durante una lezione di Biochimica in università, ha avuto l’intuizione che, con successivi accertamenti, ha consentito di dare finalmente un nome a ciò che non le dava pace. Un nome difficile da pronunciare - Protoporfiria eritropoietica (Epp) - associato a una patologia ereditaria del metabolismo dell’eme (una molecola essenziale per la vita perché porta ossigeno ai tessuti) caratterizzata dall’accumulo di protoporfirina-IX nel sangue, negli eritrociti e nel fegato.
I numeri
Oggi Francesca, biologa classe 1984 originaria di Nave, è una ricercatrice del Policlinico di Milano. Amante della divulgazione scientifica e appassionata comunicatrice, attraverso la sua esperienza mira a diffondere informazioni su una malattia che colpisce 380 persone in Italia, 12 nel Bresciano: «Grazie alla mia storia - racconta -, altre cinque persone sono arrivate alla diagnosi». Cosa non da poco, se si considera l’odissea tra gli specialisti vissuta per vent’anni dalla stessa Francesca: «A un certo punto - ricorda - si era anche pensato che potessi avere un problema psicosomatico».
L’associazione
Consapevole dell’importanza di diffondere conoscenza, la ricercatrice, inoltre, da alcuni anni fa parte di una rete internazionale di scienziati e persone con la Protoporfiria eritropoietica (si chiama Internatonal porphyria patients network, Ippn) e nel 2023 con altre sei pazienti ha fondato l’associazione «Vivi Porfiria» (l’indirizzo da cercare è www.viviporfiria.it) che mira a diffondere informazioni sugli otto tipi di Porfirie, malattie metaboliche rare caratterizzate da un forte ritardo diagnostico perché «presentano sintomi facilmente fraintendibili con altre patologie più note». E purtroppo associate a «frequenti ricoveri ospedalieri - leggiamo nel sito -, trattamenti inappropriati, interventi chirurgici non necessari e potenzialmente dannosi data anche la somministrazione di anestetici».
L’appuntamento
Il sodalizio - tramite la divulgazione, i congressi e le pubblicazioni - punta a far nascere «una rete di conoscenza e solidarietà tra i pazienti». Il prossimo appuntamento è a Milano il 23 novembre: l’auditorium Testori di Palazzo Lombardia ospiterà «Vivi Porfiria: conoscenza, condivisione e cura». Tra gli enti che collaborano all’iniziativa c’è anche il Gruppo italiano porfiria (Grip) fondato da Paolo Ventura di Modena.
Comunicazione quindi, ma anche ricerca, ovviamente. Con uno spirito di rete: «È importantissimo - sottolinea la biologa bresciana - fare networking tra pazienti, medici e ricercatori. Le associazioni dei pazienti, in quest’ottica, hanno un grande ruolo».
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