Foreign fighter bresciano: «Torturato dall’Isis, credibile la vittima»

Le torture subite durante la prigionia nel ribat dell’autoproclamato Stato islamico a Deir Ez Zor furono tanto atroci, quanto verificate. Com’è verificato che ad infliggergliele sia stato lui: Samir Bougana, il foreign fighter di origine nordafricana, ma di cittadinanza italiana, partito da Brescia alla volta del fronte siriano. Per i giudici della Corte d’assise presieduta da Roberto Spanò la giovane vittima di Bougana, 14enne all’epoca della sua prigionia, è credibile. Credibili le atrocità che ha raccontato e l’individuazione, proprio in Bougana, della persona che gliele aveva inflitte.
Il ragazzino che insieme allo zio rimase prigioniero più di un anno, una volta liberato, raccontò alle autorità tedesche di essere stato sottoposto almeno una volta a settimana a torture consistite nell’essere appeso al soffitto, sottoposto a scariche elettriche attraverso elettrodi attaccati a gambe e braccia e di essere stato bastonato anche con aste di ferro. «Nel riferire l’esperienza dolorosa subita durante la prigionia, la vittima – scrive il presidente Spanò – ha offerto uno spaccato crudo e realistico delle afflizioni subite dalla comunità curda yazida durante l’occupazione militare dell’IS. Il nucleo fondamentale del resoconto versato dal ragazzo appare affidabile: non può sostenersi che sia stato indotto a collaborare per potersi garantire il permesso di soggiorno di cui già all’epoca beneficiava».
Nella sua denuncia, sottolinea il giudice, la vittima avrebbe potuto aggravare la posizione del suo aguzzino «non limitarsi a definirlo mero esecutore degli ordini altrui». A riprova della genuinità delle affermazioni del giudice c’è anche la sua reazione terrorizzata alla vista della foto e dei video di Bougana.
A conferma della inattendibilità del foreign fighter bresciano, che ammise di aver fatto il carceriere e di aver torturato i suoi prigionieri in un’intervista su youtube, il suo tentativo di far passare quella autodenuncia come una confessione estorta da carcerieri curdi che lo avevano catturato a Kobane, in Siria, e l’avevano trattenuto per più di un anno prima di consegnarlo agli americani. Affermazioni, che per il presidente Spanò si smentiscono da sé: Bougana, infatti, ribadì il contenuto di quei video in un’intervista di analogo contenuto rilasciato all’epoca ad un giornalista italiano.
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