Fondazione comunità bresciana lancia una raccolta fondi per Canton Mombello

Canton Mombello è ampiamente tra le carceri peggiori d’Italia, e questa non è certo una novità; in attesa che veda la luce la (tante volte annunciata) nuova struttura, dire che la situazione è incancrenita è quasi un eufemismo. Un edificio ottocentesco nel centro città, palesemente inadeguato, che ospita 388 detenuti a fronte dei 182 previsti dalla capienza. Celle quindi sovraffollate, per contenere tutti i carcerati i letti a castello arrivano fino a tre piani.
E proprio «La terza branda» è il titolo dello spettacolo teatrale scritto e interpretato, appunto, dai detenuti. Spettacolo andato in scena ieri pomeriggio al Teatro Sociale, alla denuncia per una situazione diventata ampiamente insostenibile si è unità una finalità propositiva: la Fondazione della comunità bresciana ha infatti lanciato una raccolta fondi per poter mettere in campo una serie di iniziative per rendere il carcere più umano.
«Non c’è buonismo da parte nostra – ha sottolineato il presidente di Fcb Mario Mistretta –, chi ha commesso reati deve ovviamente scontare la pena, ma il carcere non deve diventare un luogo di tortura». All’appuntamento erano presenti anche Francesca Paola Lucrezi, direttrice della Casa circondariale, e Giovanna Di Rosa, presidente della Corte d’Appello.
Ultimi degli ultimi
«Vite in attesa: progetto di uomini in trasformazione» il titolo dell’appuntamento che diventa un po’ anche il titolo di tutto il progetto, un progetto molto ampio che riguarda gli «ultimi degli ultimi» per usare anche le parole di Mistretta. Un tema certo non facile quello del carcere, che non riscuote certo successo nel sentire comune. Ne sono ben consapevoli alla Fondazione della comunità bresciana.
«Nonostante la casa circondariale sia nel centro storico della nostra città – ha sottolineato il presidente –, nella percezione è come se fosse su un altro pianeta, quasi non riguardasse chi sta fuori. Eppure i detenuti sono cittadini a tutti gli effetti, persone che stanno scontando la pena e che quando escono tornano in società. Perché questo avvenga senza che tornino a delinquere, la città tutta deve adoperarsi per un rientro effettivo, inclusivo e costruttivo».

Possono essere «i nostri vicini di casa, li troviamo al bar, i loro figli vanno a scuola con i nostri. È quindi una questione che riguarda tutti». I progetti che si vogliono mettere in campo puntano a certificare «una comunità che guarda anche dove non si guarda, una comunità che non si volta dall’altra parte».
«Puntiamo a un progetto di comunità che cambi in maniera strutturale la situazione» ha sottolineato Orietta Filippini, direttrice della Fondazione della comunità bresciana. Non potrà mai esserci un elenco definitivo ed esaustivo di iniziative, ha proseguito, «ma azioni che verranno via via co-progettate per soddisfare i bisogni contingenti, anche per prevenirne di futuri. Il ruolo della Fondazione, come sempre, è di facilitazione tra tutti gli attori che vogliono mettersi al lavoro, trovando anche le risorse umane ed economiche necessarie». Non resta che sperare in una buona risposta dei donatori.
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