Il boato e la tragedia: 25 anni fa l’esplosione di via Brede a Bovezzo

Quando accadono tragedie che scuotono un Paese o il mondo intero si dice spesso che «ognuno ricorderà per sempre dov’era e cosa stava facendo nel preciso momento in cui ha appreso la notizia». È successo con gli attentati alle Torri Gemelle a livello globale, per citare un esempio. Allo stesso modo resta tutt’oggi inciso nella memoria di chi abitava a Bovezzo e nei paesi vicini l’istante in cui la palazzina di quattro piani al civico 19 di via Brede saltò in aria, ponendo fine alla vita di cinque persone: Roberto «Bobo» Archetti, 43 anni e il figlio Luca di appena 8, Carlo Bonardi, 19 anni, studente universitario, la 36enne Cristina Faccio e il compagno Angelo Pizzuto di 35 anni, maresciallo dell’Aeronautica. Altre 12 persone furono ferite, ma fortunatamente sopravvissero.
Il boato
Erano le 11.05 del 2 aprile 2000, esattamente venticinque anni fa. Una domenica mattina di primavera: la gente era a casa dal lavoro e da scuola, molti stavano facendo una passeggiata. Finché il boato impressionante non ha squarciato la normalità, aprendo un capitolo molto doloroso per la storia dei bovezzesi e cambiando per sempre la vita dei familiari e degli amici delle vittime. Fu proprio una di queste ultime, come stabilì in seguito il Tribunale, a causare la fuga di gas nel tentativo di togliersi la vita.
Le vittime
Alle 11.05 qualcuno suonò il campanello di uno degli appartamenti, innescando l’esplosione. I corpi di Bobo Archetti e del piccolo Luca, che in quell’istante si trovavano in salotto a giocare, non sono mai stati ritrovati, mentre Monica Facchi, moglie di Roberto e mamma del piccolo, in quel momento si trovava in un’altra stanza e riuscì miracolosamente a salvarsi. Solo una settimana prima, la coppia aveva firmato il contratto preliminare per l’acquisto di una casa a Mompiano, quartiere di Brescia nel quale Bobo era nato e cresciuto. Anche il fratello di Carlo Bonardi, Luca, era impegnato in un altro angolo dell’appartamento e uscì vivo dallo scoppio. Per Cristina, mamma di due bambini, e Angelo non ci fu nulla da fare: i loro corpi sono stati i primi a essere estratti dalle macerie. Poi è toccato a quello del 19enne Carlo, il secondogenito dell’ex assessore provinciale Walter, studente al primo anno di Giurisprudenza.
Tra le macerie
Quella che si trovarono davanti i Vigili del fuoco e i soccorritori fu una scena tremenda. Nel giro di poco giunsero anche un centinaio di volontari della Protezione civile provenienti da ogni angolo della provincia, che scavarono con le mani tra le travi di cemento e le macerie alla ricerca dei feriti. Insieme a loro c’era anche il sindaco bovezzese di allora, Gianpietro Favalli, che poco prima della tragedia si era trovato a passare nelle vicinanze della palazzina in bicicletta. Anche nei giorni successivi il primo cittadino, scomparso nel 2014 per una malattia, diede anima e corpo: non riusciva a rassegnarsi a quanto successo e tentò di riparare in ogni modo all’immensa tragedia che si era portata via cinque persone.
Pioggia di detriti
Subito dopo l’esplosione, che causò una pioggia di pezzi di cemento, tegole, schegge di vetri e frammenti di mobili in un raggio di 150 metri dall’epicentro, la zona iniziò a riempirsi di persone. L’intero paese aveva tremato: basti pensare che, essendo domenica, il parroco stava celebrando la messa e il boato aveva fatto crollare i vetri della chiesa e delle case vicine. Era solo l’inizio di un incubo che si sarebbe tinto di colori ancora più bui quando si capì che c’erano state vittime.
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