Dopo ottant’anni sul Mortirolo soffia ancora il vento della libertà
C’è un sole gentile sul Mortirolo in questa prima domenica di settembre in cui le Fiamme Verdi si ritrovano a ricordare i Caduti per la libertà. Se lo meritano Rosi Romelli e Giovanni Boccacci, protagonisti della Resistenza e ancora oggi, a dispetto dell’età che avanza, instancabili testimoni, presenti ieri come sempre, e lo sarebbero stati – c’è da scommetterci – anche con un meteo meno clemente. E lo apprezzano tutti, dalle autorità ai tanti cittadini saliti quassù, quel sole gentile che illumina i «monti ventosi» della Valle Camonica, quelli che Teresio Olivelli cita nella Preghiera del ribelle e che ancora oggi sono luoghi sacri della lotta partigiana. L’appuntamento è rodato e sentito, ancor più in questo 2025 in cui ricorre l’ottantesimo della Liberazione, per fare memoria e rinnovare l’impegno per un futuro di democrazia e di pace.
La messa
Si comincia con l’Inno di Mameli, cantato dalle Voci della Libertà, coro composto da quattro gruppi della Valcamonica (Voci della Rocca di Breno, Amici del canto di Borno, Rosa Camuna di Sellero e Baitone di Edolo), e già la loro composizione è un segno di unità e di superamento delle divisioni; a guidarli è il direttore Piercarlo Gatti delle Voci della Rocca, con lui il maestro Nicola Pietroboni del Baitone.

Accompagnano poi la messa, celebrata da don Tino Clementi, cappellano delle Fiamme Verdi. Tocca a lui interpretare i brani della liturgia domenicale (dal Libro della Sapienza alla lettera di San Paolo a Filemone, fino al Vangelo di Luca) anche nel solco del significato della giornata: «Un saggio dell’Antico Testamento – riflette il sacerdote – si domandava quale uomo possa conoscere il volere di Dio, rispondendo che nessuno potrebbe farlo se Dio stesso, attraverso il suo santo spirito, non gli avesse dato la Sapienza. E proprio quella sapienza che viene dall’alto deve guidare le nostre scelte. Se abbiamo fede, non ci saranno schiavi e padroni, ma saremo tutti servi per amore, non troveremo due fronti uno contro l’altro né delle persone da odiare o da dimenticare. Avremo invece la capacità di mettere le prime pietre per costruire la grande civiltà dell’amore che San Paolo VI ci ha indicato. Comprenderemo così l’invito di Gesù ad essere suoi discepoli amando persino il nemico e a disporre dei nostri averi spendendoli bene, trovando il coraggio di fermarci a riflettere su quello che stiamo facendo e progettando e non accontentandoci del "minimo livello". Che il Signore ci aiuti a fare verità ed a lavorare per il bene». E questa giornata, «questa sosta al Mortirolo – conclude don Clementi – sia una ricarica spirituale e civica per tutti, un invito ad essere buoni cristiani e buoni cittadini».
L’orazione ufficiale

Dopo la messa è il vicesindaco di Monno, Ugo Melotti, a introdurre la seconda parte della cerimonia; le sue parole commosse dicono di quanto le Fiamme Verdi siano radicate nella memoria della popolazione di queste terre. Tocca poi all’onorevole Lorenzo Guerini, presidente del Copasir (il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), tenere l’orazione ufficiale. Il deputato lodigiano comincia citando le parole con cui Romolo Ragnoli, comandante della Divisione Tito Speri, salutò le sue Fiamme Verdi a Liberazione avvenuta: «Diceva ai suoi che "la guerra è finita e con essa il nostro compito attuale, quello di scacciare il nemico invasore", quell’obiettivo raggiunto a costo di "venti mesi di fame, freddo, morte e paura, ma anche di lotta, coraggio, libertà e giustizia. Era quindi il momento di riconsegnare le armi, ma di "conservare la vostra arma più tagliente ed efficace, il vostro spirito onesto e fiero pronto a tutte le battaglie per ogni causa santa". Le Fiamme Verdi tornavano alla vita civile e democratica della nuova Italia repubblicana portando con sé quell’esperienza, che si traduceva in impegno: un messaggio che non possiamo lasciare cadere, un’eredità che dobbiamo far fruttare per continuare a costruire una società sempre più giusta e libera».
La Resistenza bresciana
Guerini ricorda poi «un tratto distintivo della Resistenza nel Bresciano», quello di essersi sviluppata vicino al «governo fantoccio di Salò», determinando spesso «un coinvolgimento personale più delicato per chi decise la via impervia e pericolosa della libertà». Eppure in molti fecero quella scelta, scendendo in campo per «quella lotta che ha consentito di portare la democrazia e la pace in Italia ed Europa. Farne memoria significa ricordare e soprattutto fare propri gli insegnamenti di quelle donne e di quegli uomini che ci hanno permesso di essere qui oggi, liberi, nella consapevolezza che la democrazia non è mai un obiettivo raggiunto per sempre ma necessita della cura di tutti i cittadini, nei diversi ambiti e livelli di responsabilità».
Libertà e giustizia
A maggior ragione in una fase storica in cui a livello internazionale «i valori democratici sono messi in discussione o negati da regimi esplicitamente autocratici o altri con elezioni più o meno regolari che si spingono a dare una rappresentazione pubblica negativa della democrazia liberale. Ci sono tendenze a chiusure nazionalistiche o a cercare soluzioni decisionali più rapide, rinfacciando alla democrazia lentezza e incapacità di rispondere alle necessità dei cittadini. Ma lentezza ed equilibrio, in un sistema di pesi e contrappesi a garanzia delle libertà dei cittadini, non sono di per sé difetti insormontabili. E soprattutto non vanno messi in discussione i valori fondamentali della democrazia, che noi italiani abbiamo la fortuna di avere nella Costituzione, che è nata anche qui in quelle battaglie. Libertà e giustizia possono innervare sempre la nostra convivenza, perché quei venti mesi di fame e freddo, lotta e coraggio, continuino ad illuminare il nostro futuro». Come quel sole gentile che brilla sul Mortirolo.
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