Il suo Dna sulla cuffia della rapina, ma lo assolvono dopo 17 anni

Un caso lungo 17 anni. Aperto, chiuso, riaperto e ora nuovamente ai titoli di coda. Questa volta con un’assoluzione. In mezzo un ruolo determinante lo ha avuto la scienza, con le nuove tecnologie di indagine che hanno individuato un profilo genetico, che però da solo non basta per arrivare ad una sentenza di colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio.
La storia
La vicenda si apre il 9 marzo del 2008, quando una gioielleria di un centro commerciale a Chiari viene presa di mira da due rapinatori che entrano in azione all’orario di apertura, senza armi, svuotano le vetrine e poi scappano. «Parlavano tra loro in bresciano» farà mettere a verbale la commessa. I video delle telecamere di sicurezza non aiutano gli inquirenti, che sulla scena del crimine ritrovano però una federa da cuscino – che nei piani doveva essere usata come sacco con i gioielli rubati – e una cuffia di lana. Il materiale finisce nei laboratori dei Ris di Parma, ma a marzo 2009, un anno dopo il colpo, gli stessi Ris scrivono: «Pur avendo estrapolato profili genetici non siamo in grado di associarli ad alcun soggetto».
L’archiviazione
Nell’aprile 2011 al pubblico ministero – titolare del fascicolo Fabio Salamone – non resta che chiedere l’archiviazione dell’inchiesta. Che il gip concede. Tra i reperti trovati in gioielleria, la federa viene distrutta mentre viene conservata la cuffia. A dicembre 2023 la Procura riceve dai Ris di Parma una comunicazione a firma del generale Giampietro Lago: «Le nuove tecnologie ci hanno permesso di associare ad un soggetto il profilo genetico isolato sulla cuffia lasciata sulla scena del crimine a Chiari il 9 marzo 2008». I Ris aggiungono però di non aver ravvisato l’esigenza di analizzare anche alcuni capelli ritrovati all’interno della cuffia. Perché? Resta un mistero.
Un indagato
Sotto indagine, siamo nel 2024, quindi finisce un uomo: si tratta di un 68enne di Travagliato già con precedenti che il sostituto procuratore Roberta Panico iscrive nel registro degli indagati e per il quale chiede il rinvio a giudizio con l’accusa di concorso in rapina. L’uomo, assistito dall’avvocato Luca Broli, decide di non farsi ascoltare dal pm e a gennaio scorso inizia il processo. La prova regina per gli inquirenti è la cuffia di lana sulla quale sono state isolate le impronte ai lati, lasciate – secondo le indagini – al momento di indossare il copricapo. L’imputato continua sulla linea del silenzio e l’ultimo atto è di pochi giorni fa, con il pubblico ministero Flavio Mastrototaro che chiede per il bresciano di Travagliato – in stato di libertà – la condanna a tre anni e sei mesi. I giudici però lo assolvono, accogliendo la tesi difensiva, per non aver commesso il fatto. Un indumento con le impronte del 68enne sulla scena del crimine non può bastare per dire con certezza che l’uomo sia il responsabile della rapina alla gioielleria di 17 anni fa.
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