Nel Bresciano 3.500 defibrillatori: in 5 anni sono più che raddoppiati

Migliari (Areu): «Ogni anno in Lombardia arrivano 12mila chiamate per arresto cardiaco». Cosa fare in caso di emergenza con una persona incosciente, che non respira e non si muove
Un defibrillatore - © www.giornaledibrescia.it
Un defibrillatore - © www.giornaledibrescia.it
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Ogni anno in Italia 60mila persone muoiono per arresto cardiaco. In Lombardia la Centrale operativa di Areu riceve almeno 12mila chiamate l’anno per quest’emergenza che, purtroppo, ha un livello minimo di sopravvivenza.

Non è sempre così. C’è chi come Erik Zanelli, 22enne di Lodrino, è ancora qui a raccontarlo «grazie al defibrillatore e alla competenza delle persone che mi hanno salvato». Si era accasciato al campetto dell’oratorio, la settimana scorsa. Ma il tempestivo intervento di due giocatori, un medico e un soccorritore e la provvidenziale presenza del Dae, installato dal parroco, gli hanno salvato la vita.

Lui si definisce «miracolato», ma a quel miracolo ha contribuito l’ottemperanza ad una serie di indicazioni che mirano a salvaguardare la salute di tutti i cittadini, come la presenza del defibrillatore semiautomatico.

Il quadro

Attualmente nel Bresciano sono 3.437, sul totale dei 22.762 registrati in Lombardia. Attenzione però: il dato ufficiale comprende solo i dispositivi che sono stati registrati sul portale Paddles di Areu, come previsto dalla Legge 116/2021. Nella nostra provincia, come altrove, ci sono altri Dae - a centinaia - che non sono stati segnalati al sistema e risultano quindi invisibili agli operatori delle centrali del soccorso.

I quasi 3.500 defibrillatori «ufficiali», in ogni caso, rappresentano un numero davvero significativo, anche a fronte del dato bergamasco che riferisce di 2.774 dispositivi. Il nostro territorio ha inoltre vissuto un vero e proprio boom negli ultimi cinque anni, passando dai circa 1.500 Dae del 2020 ai quasi 3.500 reperibili oggi, grazie anche all’impegno di enti, associazioni e privati che contribuiscono all’impresa di cardioproteggere il territorio. Oltre, ovviamente, agli obblighi di legge, che ne impongono l’installazione in tutte le sedi pubbliche con almeno 15 dipendenti e che abbiamo rapporti con il pubblico come, scuole, Province, Regioni, Comuni e Comunità Montane, Università, case popolari, Camere di Commercio e strutture del Sistema sanitario nazionale.

Devono inoltre essere posizionati in aeroporti, stazioni, porti e su mezzi di trasporto come treni, aerei e battelli. Infine già un decreto ministeriale del 2013 imponeva la presenza del Dae, a decorrere dal 30 giugno 2017, per le società sportive professionali e dilettantistiche, sia durante le competizioni sportive che durante gli allenamenti.

Come intervenire

Ma come si utilizzano e, soprattutto, chi è autorizzato ad utilizzar li in caso di emergenza? Lo abbiamo chiesto al dottore Maurizio Migliari, direttore del Dipartimento Sanitario Areu, oltre che anestesista-rianimatore. «Di fronte ad un sospetto arresto cardiaco, ovvero un paziente incosciente, che non respira e non si muove, la cosa migliore sarebbe farsi trovare pronti e sapere già cosa fare: esistono sul territorio numerosi corsi che formano alla rianimazione e abilitano all’uso del defibrillatore. Premesso ciò, la mancanza di una formazione di base non deve assolutamente rappresentare un ostacolo» premette Migliari.

La prima cosa da fare è digitare il 112 e prendere contatto con la Centrale operativa, i cui operatori sono formati in modo specifico per fornire indicazioni e guidare passo dopo passo l’interlocutore. «Utilizzano specifiche tecniche di comunicazione - ci spiega il dottor Migliari - per facilitare il soccorso in situazioni di stress, che sono state studiate con un gruppo di psicologi ed esperti».

Gli operatori forniscono informazioni sul massaggio cardiaco e sull’utilizzo dei defibrillatori, che - specifica Migliari - «possono essere utilizzati anche da individui che non sono stati formati e che non hanno seguito un corso: lo dice la legge. Saranno sempre gli operatori del 118 a guidarli nelle procedure da seguire, fino all’arrivo dei soccorritori». «Ci tengo infine a ribadire e chiarire che i rischi di arrecare danno a una persona in arresto cardiaco sono nettamente inferiori a quelli di morte, che può occorrere se non si interviene tempestivamente. Se faccio qualcosa aumento le possibilità di sopravvivenza; non facendo nulla l’esito è certo. Bisogna anche cercare di intervenire tempestivamente, dato che la capacità di resistenza delle cellule cerebrali nel tempo è molto bassa. Massaggiando e muovendo il sangue ossigeno le cellule, garantendo la loro sopravvivenza più a lungo».

È chiaro che i dispositivi, anche se sono 3.500, da soli non bastano: il miracolo della cardioprotezione passa dalla responsabilità collettiva.

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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