Brescia timbra il biglietto del futuro e sale sul tram senza il centrodestra
Il gioco di parole era fin troppo facile e sì, qualcuno lo ha detto: «Preferisco salire che attaccarmi al tram» (nello specifico, la voce è di Arshad Mehmood). Ma non sono mancati anche vecchi e nuovi must, capaci talvolta di diluire lo scontro con una risata e talvolta di rinvigorirlo. Una carrellata veloce: i comunisti, la teoria del «sì, ma», i taxi volanti, il ponte sullo Stretto, le dinamiche tossiche, la Val di Susa con slogan incorporato che recita così: «Il centrosinistra è no-tav ma sì tram» (Giovanni Posio dixit), le intramontabili citazioni dell’ex sindaco Bruno Boni, l’autonomia. Glossario politico di una giornata di dispetti a Palazzo Loggia, tramontata tra gli applausi, spartiacque insieme della fine di un lungo percorso amministrativo (avviato nello scorso mandato) e dell’inizio di un viaggio che accompagnerà Brescia per i prossimi anni: quelli dei cantieri, ma anche quelli che vedranno le strade intarsiate dai binari per la prima corsa del tram del futuro. Il Consiglio comunale di Brescia, riunito dalle 9 di ieri, ha detto «sì» al progetto definitivo per tradurre dai mappali alla realtà la linea T2. Che non è ancora nata, ma che già la Loggia è intenzionata a non lasciare «figlia unica».
Una fumata bianca arrivata dopo ore di scaramucce e di sgambetti politici, alla fine dei quali il centrodestra - optando per la via dell’astensione - ha deciso di non salire a bordo e di lasciare letteralmente la scelta (o, meglio, «la responsabilità») nelle mani della sola maggioranza.
Centrodestra
Poi ci sono i dati politici. Il primo: nel derby dialettico (che ha contraddistinto l’intero anno di dibattiti in Aula), questa volta centrosinistra batte centrodestra. Il secondo: la maggioranza debutta (da inizio mandato) davvero compatta senza malpancisti, sbuffi, capricci, exit strategy od operazioni ombra per accaparrarsi posti o posizioni interne e ritrova il ritmo politico anche nel faccia a faccia.
Il terzo: le tesi delle opposizioni, seppure i gruppi siano rimasti compatti, si sono infine rivelate se non del tutto confuse, a tratti decisamente contraddittorie. I consiglieri rivendicano ad esempio che sia stato il centrodestra al governo ad assegnare a Brescia nuovi fondi per il progetto, lamentano di non aver ricevuto un «grazie» (Mattia Margaroli), dicono «non avremo ripensamenti a portare avanti l’opera» alla luce di oltre 400 milioni sul tavolo (Massimiliano Battagliola), insistono sulla necessità di «fermare l’ingresso delle auto che quotidianamente entrano in città dalla provincia» (Massimo Tacconi e Michele Maggi), ripetono che «è necessario pensare a un trasporto pubblico in chiave di città-metropolitana» e che in sostanza un sistema di linee che si ferma al perimetro del capoluogo è monco. Ma al contempo bocciano l’idea tram perché «non è il futuro, bisogna puntare sui bus elettrici», bollano come pericolosi i cantieri perché «creeranno vent’anni di disagi», ribadiscono che già la linea T2 «metterà in difficoltà il traffico in città e quello in ingresso dall’hinterland» (e viene da chiedersi, allora, che catastrofe si profilerebbe per loro se, come invocano, quella stessa linea traguardasse in Valtrompia). Gridano all’assenza di un fondo per ristorare i commercianti dai cantieri, ma nei documenti (presentati e pubblici) sono previsti 3,5 milioni di euro iniziali.
Alcune proposte ci sono: l’Osservatorio infrastrutture (per voce di Paolo Fontana), una programmazione della mobilità sovracomunale, più coinvolgimento e attenzione alle istanze dei cittadini (Carlo Andreoli), ma riguardano tutte altri temi, non la delibera al voto in quel momento. La breve parentesi di intersezione si rintraccia nella richiesta di «lavorare a un piano puntuale dei cantieri» (come chiesto da FdI, Civica Rolfi, Lega e FI) con la convinzione che «il tema degli extra-costi, è stato sottovalutato» (Giovanni Posio). E infatti Andreoli lo ribadisce: «Vi assumerete le vostre responsabilità, niente scaricabarile».
Centrosinistra
Sul progetto tram l’opposizione si è mostrata evidentemente in difficoltà. E il centrosinistra lo ha capito subito. Fabio Capra ha provocato un gran trambusto sottolineando «l’assenza del capo» (Fabio Rolfi, fuori città per le ferie estive), uno sgambetto che Nini Ferrari prima e Margaroli poi hanno subito restituito: «Noi non abbiamo capi, siamo una squadra. Voi forse un capo lo cercate senza però trovarlo: a chiedere l’unanimità sul progetto tram non è nemmeno stata la sindaca, ma l’ex sindaco Del Bono». Inutile però negarlo: l’assenza di Rolfi dall’Aula ha fatto gongolare la maggioranza («quando non c’è, si nota» confessa più di qualcuno nei corridoi). E se Andrea Curcio affonda nel punto debole («a volte bisogna avere il coraggio di prendere delle decisioni» è il commento all’astensione degli avversari), è il capogruppo del Pd, Roberto Omodei a condurre i giochi in Aula (con un’arringa, per stile politico e dialettica, all’altezza della «scuola delboniana»): ribatte tono su tono all’elenco di accuse, isola le contraddizioni del centrodestra e lascia aperta la porta a un dialogo di merito ma senza cedere a condizioni. «Arriviamo a questa delibera dopo una fase di analisi, programmazione, progettazione e di ricerca dei fondi. Spiace non aver visto emendamenti che dimostrano la vostra mancanza di idee e spiace non avervi a bordo - scandisce rivolgendosi all’opposizione -: noi le responsabilità ce le siamo prese per la metro e ce le prenderemo tutte per il tram». Campanella. Voto. Applausi.
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