A Brescia 250 donne sfilano in lutto per il genocidio in Palestina
Duecentocinquanta donne vestite di nero in segno di lutto per il popolo palestinese. Al braccio hanno tutte una fascia bianca e sul petto un papavero rosso, simbolo di resistenza e di memoria delle vittime. Indossano immagini di bambini uccisi, di madri travolte dal dolore, di padri senza terra. Alcune stringono a sé bambole che rappresentano simbolicamente i cadaveri dei neonati palestinesi avvolti nel sudario, altre lo sollevano in aria, macchiato del sangue di migliaia di innocenti. Percorrono le vie principali del centro della città, passando da piazza Loggia a Vittoria fino al Duomo.
Non appena il corteo di donne rompe le consuete armonie del sabato, il silenzio cala. Piazza Loggia, gremita di centinaia di persone, resta immobile. Gli sguardi sono tutti rivolti verso quei corpi che indossano fotografie così forti e atroci da non sembrare reali. È il silenzio della vergogna che molti potrebbero provare nel non aver fatto abbastanza. O forse, semplicemente, è silenzio di chi non trova le parole in uno momento storico così tragico.
Le voci del corteo
«Un governo che utilizza la fame e la sete per uccidere i bambini non può lasciarci indifferenti»: chi parla è Marina Corti, 68 anni, in pensione e autrice dell’iniziativa «Donne in cammino per la pace», il corteo femminile che oggi – sabato 24 maggio – ha portato in strada circa 250 donne per dire basta al genocidio. «Questa non è una guerra – chiosa Corti –. È un’invasione di un popolo nei confronti di un altro inerme. Un genocidio che non inizia l’8 ottobre: il popolo palestinese è vittima di una sottrazione delle proprie terre da oltre 70 anni. E io come donna non mi sento di chiudere gli occhi». Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, in cui morirono centinaia di civili israeliani, la risposta militare di Israele, inizialmente rivolta a Hamas, è degenerata in una strage di civili.

Tra le partecipanti c’è anche Katia Giacomini, artigiana bresciana della carta pesta, con le lacrime agli occhi e la voce spezzata dall’emozione: «Oggi è il 24 maggio ed è l’ultimo giorno di Gaza. Il nostro cammino vuole risvegliare le coscienze di chi ancora non comprende la gravità di ciò che accadendo. E ribadire, ancora una volta che chi non si oppone è complice». Tra le mani, Giacomini, porta un cartello che cita: «Fate silenzio quando i bambini dormono non quando muoiono».

Tra le manifestanti più giovani, Giulia, 20 anni e studentessa di Scienze politiche alla Cattolica di Brescia: «La situazione in Palestina è una tragedia, un vero e proprio genocidio. Per questo oggi sono qui, per dire basta – dichiara la giovane –. Voglio manifestare per tutte quelle persone che sono state uccise». L’assenza di presenza giovanile nel corteo fa riflettere e desolare al contempo la ragazza: «Mi sorprende la scarsa partecipazione dei miei coetanei. Purtroppo non percepisco la voglia di cambiamento. Eppure, parlando con amici e colleghi universitari, scopro che esiste, seppur piccola, una volontà concreta di fare qualcosa».

«Sono una forte sostenitrice della pace – dichiara Paola Vignoni, 56 anni, infermiera, di Ghedi –. In questo momento credo sia fondamentale essere coesi e dimostrare che la pace è un bene prezioso». Intorno al collo, indossa una kefiah, la tradizionale sciarpa bianco-nera, simbolo del popolo palestinese: «Indossarla è una scelta consapevole, oggi ancora più forte. Un gesto di solidarietà verso Gaza».

Donne in cammino
«Donne in cammino per la pace di Brescia» è un gruppo formato esclusivamente da donne provenienti da tutta la Provincia di Brescia. Attivo dal 2023, ha l’obiettivo di promuovere la pace attraverso azioni simboliche e non violente. «Le donne sono coloro che generano il mondo. Non potevamo restare indifferenti di fronte al dolore delle madri palestinesi – afferma Marina Corti –. Il nostro è un bisogno di smuovere le coscienze, di fare del nostro corpo uno strumento politico per far sì che le persone si fermino ad osservare e a riflettere. Abbiamo scelto il silenzio come forma di protesta. Un silenzio che è, in realtà, un grido contro l’atrocità del governo israeliano».
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