Bellezza in rovina: nel Bresciano 70 beni culturali sono da recuperare

A censirli ci ha pensato il ministero della Cultura. Sono chiese, cascine, caserme e antichi palazzi
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Il monastero di Santo Stefano a Collebeato
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Chiese, cascine, stabilimenti industriali, ville e asili. Serre, palazzi, alloggi e caserme. Il prefisso «ex» ricorre, domina prima di ogni nome proprio. Tutto è stato qualcosa nella prima vita ed è diventato altro nella seconda. Nulla si distrugge, tutto si trasforma. Anche se si fa rudere.

La provincia della fu (o ex, a proposito) Capitale della Cultura ne è piena. Raccontano di un mondo antico, a volte vecchio, comunque che non c’è più. Descrivono la storia del Bresciano: segni del passato, a volte ferite profonde sulla pelle di intere comunità. Il ministero della Cultura questo lo sa. E ha dedicato un’intera struttura organizzativa alla tutela e alla rivalutazione dei beni abbandonati del nostro Paese.

È il cosiddetto «Servizio III» della Direzione generale archeologia nelle arti e paesaggio, cui spetta il compito di «indirizzare gli istituti periferici all’elaborazione dei piani di conservazione del patrimonio storico, artistico e architettonico».

Il percorso

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Tra i beni culturali nell'oblio

Il primo passo è stato mappare i pezzi pregiati sui territori, fornendo uno strumento di informazione e di monitoraggio.

Secondo il rapporto del Ministero, disseminati in provincia ci sono circa 70 beni abbandonati ritenuti di valore culturale e degni di essere preservati. Quasi un terzo si trova in città, il resto mette fondamenta un po’ ovunque: da Pezzaze ad Alfianello, da Palazzolo sull’Oglio a Lonato del Garda. Perché la cultura dell’oblio non ha confini, appartiene a tutte le terre. A Brescia figurano anche casi clamorosi: oltre alla palazzina Haynau in castello e all’ex cavallerizza, che sono però già oggetto di lavori di riqualificazione in corso, nella lista nera finiscono palazzo Tosio Fenaroli (stato di conservazione mediocre) di via Tosio, dove c’è anche palazzo Salvi Bonoris, che fu sede del partito fascista e poi, fino al 1993, della Democrazia Cristiana.

Sulle orme di Napoleone

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Palazzo Martinengo Colleoni di Pianezza

Anche palazzo Martinengo Colleoni di Pianezza in corso Matteotti, che venne venduto a Napoleone Bonaparte, risulta non utilizzato. La magra consolazione è che si trova ancora in buone condizioni.

Sono invece messi piuttosto male palazzo Carpinoni di via Crispi e palazzo Avogadro di corsetto Sant’Agata, che dal XVII secolo fu abitato da due delle più famose famiglie bresciane (gli Avogadro prima ed i Martinengo Colleoni poi) e oggi versa in uno stato pessimo.

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Palazzo Avogadro

Anche su via Musei - paradigma della fruizione culturale contemporanea tanto da offrire la cartolina del turismo cittadino nel mondo - il ministero piazza tre bandierine nella mappa dell’abbandono: al civico 49 c’è un fabbricato del XVII-XVIII secolo, al civico 85 uno poco più recente. Appaiono con portoni sbarrati e logori, con persiane serrate: nessuno ha ormai memoria di vita tra quelle mura. Sono stabili comunali di interesse nazionale che tuttora si integrano perfettamente con lo scenario architettonico dell’antico decumano di Brixia. Ma sullo stato di conservazione sono catalogati, senza mezzi termini, alla voce «pessimo».

Tra i due civici spicca palazzo Maggi Gambara, altro bene culturale inutilizzato. Il palazzo cinquecentesco incastonato tra il teatro romano e il Capitolium è in realtà al centro del progetto di riqualificazione firmato David Chipperfield per ridare dignità alla struttura del I secolo.

L’idea è quella di creare uno spazio destinato ad essere il nuovo Museum Gate dell’intera area Unesco con un foyer di accoglienza e di visita, almeno in una parte del palazzo.

Maglia nera

Ma a detenere il record dei beni dimenticati in provincia è Toscolano Maderno, dove sono ben dodici i luoghi finiti sotto la lente del Ministero. Si tratta soprattutto di complessi industriali, come quelli della Valle delle Cartiere. Tra Covoli, Luseti, Vago e Maina ruderi di quattro secoli giacciono tra le sterpaglie a ricordare di un’economia ormai dissipata, quella legata alla fabbricazione della carta grazie alla vicinanza con l’acqua.

Per il report messo a punto dal Ministero l’Eco Museo della Valle delle Cartiere è un «museo a metà», perché visitabile solo dall’esterno. A differenza degli altri scavi nella valle, quello di Maina Superiore è stato musealizzato ma resta comunque chiuso per lavori. E poi ci sono le chiese: a Calvisano, a Trenzano, fino ai Comuni di Vione, Malonno e Losine, questi ultimi tre nel territorio della Valcamonica. Qualcuna sconsacrata e chiusa anni, altre cadono letteralmente a pezzi. Anch’esse raccontano di un mondo che non c’è più, ormai materiale per i libri di storia.

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