Una grande, e libera, taverna a cielo aperto

Si entra da Porta San Zeno e si è subito immersi nell’atmosfera di un Medioevo felice, lontano dal nostro immaginario ma non per questo improbabile. Qui i visitatori ci sono da sempre e ancora sono qui, a godersi la bellezza di un angolo onorato dall’azzurro del Garda, pieno di voci e risate degli avventori dei molti locali distribuiti ovunque. Una grande taverna a cielo aperto, circondata da bastioni imponenti, in cui si percepiscono convivialità e desiderio di condivisione.
Ogni dettaglio è piacevole, con case curate, vie decorate da tavolini e sedie e nell’aria un chiacchiericcio ilare in cui si mischiano lingue diverse, in specie il tedesco. Lungo e scambievole amore, questo, iniziato quando il lago e questo territorio erano un centro di commerci con la Germania. Pare che il toponimo derivi da Loncis, castello bavarese che diede il cognome alla famiglia Bevilacqua Loncis, a cui apparteneva Antonio, governatore che gestì il Comune verso il Mille. Analogia un po’ forzata (alcuni collegano invece Lazise a Lacus), ma il legame di questo sito con l’anima teutonica è da sempre forte, tant’è che Ottone II di Sassonia, Imperatore del Sacro Romano Impero, concesse a Lazise una serie di privilegi, tra cui la possibilità di esigere tributi, gestire diritti di transito e fortificare borgo e porto.
Era il 983 e per questa ragione Lazise oggi può fregiarsi del titolo di primo Libero Comune d’Italia. In un documento datato 1123 la cittadina viene addirittura definita «Patria». Patria ancestrale, dunque.
Forse per questo non si fa in tempo a superare il portale d’ingresso che ci si sente graditi ospiti di un caposaldo di libertà che più di mille anni fa, per difendersi da invasioni e scorribande, si dotò di Mura e Rocca (magnifiche opere, portate avanti dagli Scaligeri e rivelatesi importanti per la Serenissima) ma non rinunciò mai al proprio intrinseco spirito d’indipendenza. Il baluardo subì diversi assedi, il più bello dei quali è quello attuale, privo di limiti d’ingresso e uscita. Il Castello oggi si trova all’interno di un romantico giardino ottocentesco e non spaventa più nessuno, se non forse chi ha paura di innamorarsi. Cinta muraria, fortezza, darsena, attività commerciali: è un incastro perfetto, un gioco di luci esteriori e interiori che non si spengono mai.
Qui prospera un turismo che onora il lago e la sua plurimillenaria storia, fatto di persone che si divertono e sono grate di trovarsi in un posto antico e ridente, dove le mura sono una forma di abbraccio e inclusione e non di difesa e separazione.
E c’è la chiesa di San Nicolò, gemma romanica nel porto vecchio, ampia aula con lacerti di affreschi. Mura dentro altre mura, un bagliore turrito in un’aria sottile, come quella che si respira ovunque ci sia libertà. Non sono le barriere in sé a creare dolore, bensì gli uomini incapaci di creare porte.
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