«Quando non sai più cosa fare entra in una chiesa e siediti»

Una frase della nonna Ida, nata in una cascina della Bassa Bresciana, diventa una «cartolina» che la vita ti recapita nei momenti difficili
La chiesa di Sant’Alessandro a Brescia - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
La chiesa di Sant’Alessandro a Brescia - Foto Marco Ortogni/Neg © www.giornaledibrescia.it
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Un novembre piovoso, ma non pigro e lento. Aggressivo e violento, piuttosto. Stanchezza, tristezza, incertezza, ansia, paura, un dispiacere che va oltre le condizioni meteorologiche. Il fango, vero e metaforico. La morte, vera e non metaforica. La mancanza di una via d’uscita, la casa che non è più un rifugio se non per chi ha certezze granitiche che da nulla vengono scoperchiate, travolte, allagate, dilaniate, bombardate. Beati loro. A chi non è benedetto da tali convinzioni e dalla buona sorte serve una piattaforma, una zattera, una capanna, qualcosa su cui appoggiare il proprio corpo e soprattutto aggrappare la propria anima.

Il racconto

Quando mi sento così (ultimamente mi capita spesso, non so se per via dell’età o dell’inferno terreno che ci circonda e che, anche se codardamente vorremmo evitare di vederlo o addirittura di sapere della sua esistenza, in vari modi ci coinvolge), mi viene in mente una frase che usava dire mia nonna: «Quando non sai più cosa fare entra in chiesa e siediti». Consideravo ingenuo tale consiglio, lo ritenevo figlio della semplicità di pensiero di una contadina che non conosceva il mondo se non quella piccola (delle dimensioni di un’aia) parte che aveva visto.

Peccato che mia nonna aveva sperimentato la guerra, sofferto la fame, si era trasferita da una cascina della Bassa nella grande città senza sapere altro che il suo dialetto, senza un soldo, senza altri abiti che i suoi grembiuli a fiori. Allora non me ne rendevo conto, ma soffrivo già di un assai diffuso disturbo contemporaneo: l’egocentrismo. Che non ti fa ascoltare, t’impedisce d’immedesimarti in ciò che non ti assomiglia, ti blocca la crescita umana vendendoti l’illusione di essere una gran persona. E ti lascia perso, spaventato e tremante di fronte ai rivolgimenti della sorte, perché non puoi certo affidarti al poco che sei, quando scopri, malgrado le favole che ti sei sempre cantato e suonato, di non essere una creatura speciale in gurgite vasto (nel vasto mare) ma un misero nulla in rigurgito vasto.

Ed ecco che la frase della nonna Ida diventa un aforisma, un insegnamento Jedi, un’illuminazione. Così esci sotto la pioggia e vai in cerca di un edificio sacro, genere di struttura che nel nostro paese non manca. Non importa se sia uno scrigno d’arte o un prefabbricato in calcestruzzo, non importa se credi o no. Non ti servono altro che l’umiltà che hai seppellito e la speranza che hai perduto. Conta solo la risposta che cerchi: vai e la troverai. Magari non ti piacerà, ma - questo non te lo ricordavi, vero? - non si può sempre avere tutto.

Ogni chiesa, dalla più incredibile alla più discutibile, è una cartolina che la vita, e la nonna, t’inviano quando vedono che hai smarrito la rotta. Ognuna è una mappa per ritrovare la strada e trovare non già te stesso, ma quel qualcosa di più grande che va oltre te. Entra in una chiesa e siediti. Il resto verrà da sé.

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