Quando l’astratto diventa concreto quotidiano

Clementina Coppini
Nei dipinti dedicati alla Pentecoste la rappresentazione di un «raggio di sole» che ha affascinato e ispirato diversi pittori
La Pentecoste del bresciano Alessandro Bonvicino (1492/5 - 1554)
La Pentecoste del bresciano Alessandro Bonvicino (1492/5 - 1554)
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Pentecoste, la discesa dello Spirito Santo. Da sempre rappresentata come l’arrivo di una luce dall’alto (un sole, insomma) a illuminare un gruppo di persone, con Vergine nel centro e Apostoli (o discepoli) intorno. La parola viene dal greco e significa cinquantesimo (sottinteso giorno) dalla Resurrezione di Cristo. Moretto ambienta l’episodio in un interno con lo Spirito Santo in forma di colomba sospeso tra i presenti, i quali creano una sorta di abbraccio intorno allo splendore che irradia dall’alto. Il dipinto di Moretto è del 1543-44, forse antecedente. Il pittore Francesco Paglia nel Seicento lo riteneva così bello da sembrare di Tiziano.

In effetti esiste un’analoga opera del Vecellio realizzata verso il 1545, in Santa Maria della Salute a Venezia. La tela è un rifacimento, essendo che la precedente, del 1541, si era deteriorata subito (o forse non era piaciuta ai frati committenti) e l’artista era stato costretto a sostituirla con questa (rifiutandosi di firmarla).

L’opera

Della Pentecoste di Moretto colpiscono alcuni particolari, tipo gli Apostoli agli angoli sinistro e destro che mostrano le piante dei piedi. Come a dire che questa improvvisa apparizione non è arrivata per stupire le persone, ma per spronarle a camminare, a sporcarsi i piedi e a consumarsi le suole (non a caso in tale occasione gli Apostoli iniziano a parlare lingue diverse, fenomeno chiamato glossolalia).

Alcuni hanno lo sguardo rivolto verso la colomba, altri lo distolgono come davanti a un riflettore troppo potente. La Vergine, la testa coperta da un mantello verde, tiene le mani una sopra l’altra come un filosofo e, spezzando la parete che ci divide dall’arte, ci osserva, quasi ci invitasse a meditare e approfondire. Come fa lei, che tiene un libro aperto sulle gambe.

A Brescia

A Santa Maria della Neve a Pisogne, nel 1532-34, il Romanino dipinge una scena simile in modo più essenziale. Ma è in un affresco nella chiesa di San Francesco D’Assisi a Brescia che il Romanino, nel 1522, ci aiuta a capire. Come lui nessuno mai.

Siamo di fronte a qualcosa di così innovativo e rivoluzionario che si fa fatica a credere che abbia mezzo millennio. Una folla di persone ammassate, in piedi o in ginocchio, uomini e donne, fluidamente immersi in un bagno di luce calda e gialla, come se fosse sorto un nuovo sole per tutti. Maria ha i capelli sciolti, un mantello bianco e la testa scoperta. Sembra una ragazzina e tiene le braccia come quando cullava il suo Bambino.

Qui l’astratto diventa concreto quotidiano. Vitale, contagioso. Virale. Quell’inclusivo faro giallo porta rinnovamento e giovinezza, in un’estasi corale che illustra in modo geniale un concetto complesso, rendendolo di immediata comprensione. È l’immagine della speranza che ritorna, in una bella giornata di piena primavera. «Un raggio di sole può fare di me un’altra persona» (Hugo von Hofmannsthal).

Riproduzione riservata © Giornale di Brescia

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