La pieve di Sant'Andrea a Iseo, scrigno di differenti stili ed epoche

Situata nel centro storico della cittadina lacustre, colpisce molto per il suo impatto visivo come per la particolare facciata
La facciata della Pieve di Sant'Andrea a Iseo - New Eden Group © www.giornaledibrescia.it
La facciata della Pieve di Sant'Andrea a Iseo - New Eden Group © www.giornaledibrescia.it
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La pieve di Sant’Andrea a Iseo ha una facciata tutta strana. In mezzo è tagliata dalla base del campanile e per il resto è piena di aperture rettangolari e ad arco romanico o gotico.

Romanica, i restauri ottocenteschi stranamente non cercarono di uniformarne l’aspetto: anzi, l’architetto Rodolfo Vantini decise di appiccicare alla facciata la trecentesca arca funeraria di Jacopo Oldofredi, la cui famiglia mantenne per tutto il Trecento la signoria su Iseo. Jacopo era nemico di Venezia e alleato dei Visconti di Milano, città di cui fu podestà. La lapide riporta una scritta in latino che suona così: «Sta qui celato sotto il marmo quell’insigne specchio di virtù che fu il grande Giacomo degli Oldofredi... Fautore dell’impero, reggitore chiarissimo di eccelse città, egli fu prudente, valoroso nell’armi e più che un padre per tutti i suoi. Costui circondò Iseo di mura, innalzò la rocca fortissima di Bosine col castello del Divin Crocefisso, erigendo poi un’altissima torre... La morte lo rapì il 18 Novembre dell’anno 1325. Tu prega, o lettore, Il Principe Supremo affinché premi piamente il suo milite». Non è una cattiva idea, in tempi in cui abbiamo tutti un disperato bisogno di padri della patria, omaggiare un fondatore attaccando il suo sepolcro alla facciata di una chiesa.

Nell’interno neoclassico all’improvviso ci si trova di fronte un angelo, anzi un arcangelo: Michele. Bello come il sole che lo illumina, alato, slanciato e muscoloso. Sta cacciando Lucifero dal Paradiso. Il soggetto è noto, ma il genio di Francesco Hayez come sempre è capace di dare una prospettiva nuova all’iconografia. L’angelo non è la solita creatura asessuata in armatura e gonnellino, fotografata nel momento in cui, brandendo una lancia, schiaccia Satana sotto i piedi. È un giovane nudo, inondato di luce, sotto il cui piede leggiadro alzato di un palmo dal suolo s’intravede un gomitolo scuro tutto chiuso in se stesso, sconfitto. Il bene e il male non si toccano e si riesce a distinguerli perfettamente l’uno dall’altro.

Guardando questo capolavoro sembra così semplice e naturale separare la luce dal buio e s’intuisce al tempo stesso quanto sia complicato essere angeli, sia che si scelga di stare tra i buoni sia che ci si trovi con quelli cattivi. Insomma, siccome in questa terra nera trovare padri della patria e incontrare creature angeliche è un’impresa, Jacopo e Michele devono essere visti assolutamente, perché forniscono un identikit ideale di ciò che tutti andiamo cercando e che tutti vorremmo diventare, se sollevarsi da terra non fosse sempre così maledettamente difficile. Forse basterebbe solo essere più pensanti e meno pesanti. Forse. In fondo, diceva Chesterton, «gli angeli possono volare perché sanno prendersi con leggerezza».

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