La chiesa di San Carlo Borromeo dove il rosa diventa il colore della speranza

Nella piccola chiesetta di Gardone Valtrompia la soasa sovrasta la pala a cui fa da cornice
Con la soasa di Gaspare Bianchi - Foto Bonusi
Con la soasa di Gaspare Bianchi - Foto Bonusi
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La chiesina ha un aspetto piccolo e prezioso. Vogliamo chiamarla gioiello o bomboniera? Ma anche no. Avete presente certi gioielli e soprattutto certe bomboniere? Ecco, non è il caso di utilizzare nessuno dei due termini per definire questo minuscolo edificio dedicato a un uomo grandissimo, Carlo Borromeo. Nato per onorare un voto dopo l'epidemia di peste del 1630 e completato in qualche decennio, fu edificato con quell'amore semplice e sincero che fa diventare tutto rosa. Infatti la chiesa è rosa (a bordi bianchi).

Sul frontone triangolare della facciata si apre un portale sovrastato dalle insegne cardinalizie e dalla scritta «humiltas», umiltà, il suo motto. Sopra il campanile una singolare cupola a cipolla. L'interno, ad aula unica, decorato con affreschi settecenteschi di Pietro Scalvini e novecenteschi di Vittorio Trainini, sembra fatto per far convergere l'attenzione sull'altare, che vide la luce a fine Seicento. La pala, opera di Francesco Paglia, ritrae San Carlo e altri santi che ammirano la Madonna con Bambino che porge l'anello a Santa Caterina.

Vi è mai capitato di pensare che un quadro, pur ben eseguito e di un artista di tutto rispetto, scompare di fronte alla sua stessa cornice? Ecco, questo è il caso. Fu Gaspare Bianchi da Lumezzane a realizzare, nel 1692, questi complicati e seducenti intagli che completano e illuminano tutto l'interno, mettendo quasi (e anche senza quasi) in ombra l'opera del Paglia. A compensazione dello sfarzo dell'altare, poco prima di esso, sulla sinistra, si apre una cappella con finestra da cui entra una naturale luce calda, mistica e intima.

Il rosa

Questo è un edificio voluto per dire grazie alla vita, la quale risparmia alcuni dalle pestilenze e altri invece no e secondo una logica incomprensibile dà e toglie. La vita che ci sono volte in cui, dopo tanto buio, ti mostra il rosa dell'alba e volte in cui ispira più l'autore della cornice che quello del dipinto. Rosa e soasa, che ai tempi della costruzione erano espressione di una moda, ora sono una metafora. La cornice, nata con il compito di sottolineare il dipinto che inquadra, lo sovrasta.

Il colore rosa, non inteso al femminile nelle intenzioni (chi se li filava i diritti delle donne nel Seicento? Sì, qualche nobildonna possidente e sapiente nella ricca Val Trompia c'era di sicuro, ma si trattava di casi isolati e comunque nessuna donna dell'epoca ha di certo pensato che quel colore fosse dedicato ai suoi diritti civili) e non da interpretarsi oggi come discriminatorio, in questo specifico caso rappresenta il colore della salvezza e della rinascita.

E la soasa è il riscatto di ciò che, a volte sbagliando, viene liquidato come opera di serie B. Il colore della speranza e della gratitudine qui, nel cuore stesso della Valtrompia, non è il verde, ma il rosa. E, sempre qui, un capolavoro può essere, invece del quadro, la sua cornice.

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