Il capolavoro del Romanino custodito nel convento di Rovato

L'opera venne coperta di intonaco e dopo anni restaurata conferendo ai colori una metaforica illuminazione
L'affresco di Girolamo Romanino nel convento dell'Annunciata di Rovato - © www.giornaledibrescia.it
L'affresco di Girolamo Romanino nel convento dell'Annunciata di Rovato - © www.giornaledibrescia.it
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Un angelo vestito a festa, una giovane sicura di sé, un animale domestico che si avvicina all’ospite inaspettato: ecco l’Annunciazione della chiesa del convento dell’Annunciata di Rovato. Il Padre e lo Spirito Santo osservano dall’alto la scena che dà inizio alla vicenda di Gesù sulla Terra.

L’autore dell’affresco è un Romanino addolcito dagli anni, meno aggressivo e meno amante del grottesco di quando era giovane. Siamo nel 1539-1540 e il nostro Girolamo è un uomo e un artista maturo, un ultracinquantenne alla ricerca di equilibrio e classicismo.

L'Annunciazione

Se si osservano con attenzione i volti dei due protagonisti si ha quasi l’impressione che siano due gemelli e la specularità non è forse una forma dell’armonia? Gabriele, divina apparizione in tunica sui toni del rosa con sopraveste giallo-limone bordata di verde, atterra a casa di Maria che, abito rosso, mantello azzurro screziato e velo bianco, lo accoglie con calma olimpica e non sembra affatto spaventata di trovarsi di fronte una creatura con ali imponenti e un abbigliamento eccentrico.

La Madonna, che rimane concentrata nella lettura del libro appoggiato su un leggio coperto da un drappo finemente ricamato, ha già l’aspetto della Signora del Cielo, non quello di una giovane donna in procinto di apprendere la notizia che sconvolgerà la sua esistenza. Viene in mente l’Annunciazione che lo stesso autore aveva eseguito anni prima nella Chiesa di Santa Maria della Neve a Pisogne. Lì la Vergine è una timida ragazzetta, l’angelo è a malapena coperto da un velo giallo ed entrambi hanno l’aspetto di contadini del luogo. L’Angelo e la Madonna qui a Rovato sono più adulti, come Romanino stesso, e sono stati dipinti per un’utenza raffinata.

L’opera per un qualche motivo venne coperta da intonaco dopo il 1880, ritrovata nel 1961 e restaurata nel 1965. I colori sono meno vividi che in origine, ma alla fine il generale sbiadimento conferisce all’insieme qualcosa che può essere definito con una parola: illuminazione. Metaforica, come quella che, passando attraverso la bifora dipinta tra i due protagonisti, pare invadere la cattedrale, ma anche metafisica, poiché investendo l’osservatore lo aiuta a vedere meglio le cose.

Il gatto della Vergine Maria

Ma alla fine quello che resta nel cuore è il fiero micio che va incontro a Gabriele. Sapere che la Vergine aveva un gatto - non un cane, proprio un gatto - è una scoperta confortante, che riappacifica infine gli amanti dei felini con il Cielo. È grigio, ma forse prima di scolorire era nero. E così il caro Girolamo, con un graffio inaspettato in tanta soavità, si spinge e ci spinge oltre ogni banalità e pregiudizio. «Credo che i gatti siano spiriti venuti sulla terra. Un gatto, ne sono convinto, può camminare su una nuvola» (Jules Verne).

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