I capolavori custoditi nella chiesa di Santa Maria Annunciata a Bienno

Ricca di opere che commissionavano le famiglie del paese, probabilmente in gara tra loro a chi trovava il pittore più quotato
Chiesa di Santa Maria Annunciata a Bienno - © www.giornaledibrescia.it
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Per avere un’idea di come doveva essere la Bienno dei tempi d’oro (o forse sarebbe meglio dire di ferro e d’acciaio) basta fare un giro in quello che è a ragione uno dei borghi più belli d’Italia: davvero una gioia imprevista a ogni angolo. Per la varietà, per la luce, per come l’edilizia privata (con gioielli del quattro-cinquecento come casa Panteghini e casa Bettoni) si unisce con grazia a quella delle fucine e dei mulini.

Ma se volete davvero comprendere quanto buon gusto avessero questi esperti e laboriosi artigiani entrate nella chiesa di Santa Maria Annunciata. È del Quattrocento ed è nel cuore del paese, anzi il suo cuore è proprio lei. Gotica, sempre aperta, silenziosa, custodisce in una piacevole penombra un racconto per affreschi che magari non è consequenziale, ma strepitoso sì.

Ci sono le opere che commissionavano le famiglie del paese, probabilmente in gara tra loro a chi trovava il pittore più quotato. Un Compianto di Cristo commovente, Madonne con Bambino e ben tre Simonino da Trento (noto al tempo come San Simonino e venerato come beato fino al 1965), protagonista nel 1475 di un fatto di sangue del quale furono ingiustamente accusati gli Ebrei trentini, che subirono agghiaccianti torture seguite da esecuzioni sommarie.

Lo «Sposalizio della Vergine» del Romanino nella chiesa di Santa Maria Annunciata a Bienno - © www.giornaledibrescia.it
Lo «Sposalizio della Vergine» del Romanino nella chiesa di Santa Maria Annunciata a Bienno - © www.giornaledibrescia.it

L’immagine del bambino con l’abitino rosso sangue colpisce nel profondo (e, dopo tanti secoli, ottiene sempre il risultato di sconvolgere poiché oggi riporta il pensiero alle piccole vittime della Shoah). Come l’affresco, che sembra un bassorilievo, del Dogma della Morte, in cui si vedono sette individui di diverso censo e ruolo nella società che vengono colpiti tutti dalle frecce della morte. Una cosa a metà tra la danza macabra e il memento mori, che apre uno squarcio visivamente non banale sul pur ovvio fatto che tutti moriamo.

Sopra appaiono episodi della vita di San Francesco di nientemeno che Pietro da Cemmo. Un arco con dodici sibille da osservare in ogni dettaglio, sempre di Pietro, separa l’abside, che ha a sinistra la Presentazione al Tempio e a destra lo Sposalizio. Protagonista la Vergine, da bambina e da donna, stavolta ritratta da nientemeno che il Romanino.

Al centro c’era una terza opera, mutilata per metterci davanti una pala d’altare secentesca. La piccola Maria sulle scale del Tempio diventerà parte di voi almeno quanto, ai piedi della scala, il bambino (in abito rosso come Simonino) con in braccio un coniglietto. L’innocenza, il passato, il futuro, il destino: tutto riassunto in una chiesina. E nell’immagine di una bambina che con passo incerto inizia a percorrere la strada verso il cielo.

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