Collezione Paolo VI: un motivo in più per amare un Papa santo

Il museo allestito a Concesio offre una rivelazione sull'uomo, sull'arte e sulla persona che ha raccolto intorno a sé una generazione di geni
L'Istituto Paolo VI a Concesio - © www.giornaledibrescia.it
L'Istituto Paolo VI a Concesio - © www.giornaledibrescia.it
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La Collezione Paolo VI è una rivelazione. Sull’uomo e sull’arte in generale, ma anche sulla persona specifica che ha raccolto intorno a sé una generazione di geni. Non ti aspetteresti mai che un Papa com’era lui, così discreto e quasi sottotono, potesse avere tale sensibilità. E invece aveva messo insieme gli artisti più rappresentativi dei suoi tempi, che per lui frequentavano il Vaticano.

Montini non riteneva rappresentassero un problema né le loro opinioni politiche né la loro fede religiosa, che l’avessero o meno. Per questo loro gli donavano le loro opere, perché sapevano che lui li accettava per ciò che erano. Questa pinacoteca è un’esemplificazione del più profondo significato del talento. Che è difficoltà, ricerca, tentativo di trovare un linguaggio universale, di dare un senso agli eventi e insieme speranza che la propria interpretazione possa in qualche modo essere utile.

Alcuni ritengono che Paolo VI fosse un papa triste, non in grado di trasmettere ispirazione. E invece no, era tutto l’opposto. Lui vedeva oltre e i suoi artisti lo avevano capito, altrimenti non avrebbero realizzato tutti quei capolavori per lui. In tale operazione deve aver significato molto il suo segretario personale, Monsignor Pasquale Macchi, che gli fu vicino fin dai tempi in cui era arcivescovo di Milano e che, dopo la morte del suo papa, andò a fare l’arcivescovo al sacro Monte di Varese per poi ritirarsi in monastero.

Gli artisti gli hanno dedicato alcune delle opere esposte

La collezione d'arte nell’Istituto Paolo VI di Concesio - © www.giornaledibrescia.it
La collezione d'arte nell’Istituto Paolo VI di Concesio - © www.giornaledibrescia.it

L’idea alla base è chiaramente espressa all’ingresso, in una frase di Paolo VI datata 1964, l’anno seguente alla sua elezione: «Rifacciamo la pace? Quest’oggi? Qui? Vogliamo ritornare amici? Il Papa ridiventa ancora l’amico degli artisti?». Non una dichiarazione d’intenti, ma una volontà vera, che poi si è fatta azione.

Paolo VI desiderava che il Vaticano tornasse a essere una casa per gli artisti, com’era stato per secoli. E gli artisti hanno risposto. Si sono avvicinati quelli che non avrebbero mai piantato piede in una chiesa, che avevano visto la guerra e perso (o mai avuto) la fede, che vivevano nei tempi della cortina di ferro e del terrorismo. Non è un museo di santini, anzi è pieno di opere critiche, disturbanti, che trasmettono dolore ma anche pace e desiderio di redenzione.

Guttuso, Manzù, Picasso, Matisse, Pomodoro, Azuma, Cassinari, Dalì, Sassu, Morandi, Sironi, Fiume, De Chirico, Fontana, Chagall, Magritte, Carrà e tanti altri sono lì per lui. Gli affidavano le loro opere perché avevano capito che Paolo VI era davvero avanti anni luce. Non è diventato santo per questo, ma come si può definire un museo così straordinario se non come qualcosa che si avvicina molto a un miracolo?

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